Abbiamo bisogno di bellezza.

Per svegliarci.

Per aprirci un sorriso.

Per continuare a vivere.

Per sentirci vivi.

Per mantenere la barra a dritta.

Per coltivarla e farla crescere, tramandarla e raccontarla, assorbirla e traspirarla.

Per non cedere alla mera funzione (che equivale al mero sopravvivere, perché le cose funzionano anche se sono belle).

La bellezza ci rende vivi, ci trasforma in simbiosi e solo allora saremo amati.

E la bellezza è ovunque. Anche in questi tempi di smarrimento, di apatia, di stanca abitudine e di svogliatezza. Basta volerla, desiderarla. Ancor meno: basta aprire gli occhi e decidere di partire. Lasciare ogni paludosa reticenza e dire sì. Alzarsi. Uscire.

Joyside FMR Franco Maria Ricci labirinto

L’aria è ancora fredda. L’inverno, anche se ormai non fa più paura da tempo, non è ancora finito e – anzi – forse è proprio in questo limbo intermedio che c’è ancor più motivo, anticipando nel petto la primavera. Se non dovessero bastare le bellezze naturali, qui in Italia abbiamo una fortuna rara sparsa come parmigiano sul risotto: basta puntare il dito su uno dei tanti patrimoni d’arte. Magari capace di collegare anch’esso dei puntini, con un salto nel tempo e dando naturalmente un senso.

Joyside FMR Franco Maria Ricci museo

Agli arbori del mestiere che mi sono scelto, dopo aver lasciato quello non mio, non potevi non essere ammirato da una pubblicazione che negli anni ‘80 era un vero riferimento. Anche se la giovinezza puntava all’avanguardia e al nuovo, questa magnifica rivista classicheggiante affascinava, con la sua stampa ben oltre la quadricromia, con il nero speciale, scritta con il rigore mai noioso di un carattere immortale come il Bodoni e capace di rilasciare folate di bellezza ad ogni voltar pagina. Il suo titolo era una sigla di tre lettere: FMR. L’acronimo del suo editore, curatore ed ideatore: un personaggio allora non tanto affine (a poco più di vent’anni guardavo altrove, appunto) ma che – sempre attraverso il lento macinare e tessere del tempo – divenne uno dei riferimenti. E poi c’era la sua eleganza. Quella sua innata e naturale capacità di saper abbinare magistralmente almeno tre cose (colori, stoffe, elementi), qualcosa assai oltre l’abbinare i calzini con il colore della camicia: saper armonizzare la diversità e la complessità in un’unica figura. Quindi, Franco Maria Ricci era – per me e per il mio poco e distratto tempo – il creatore di una delle più sopraffine stampe di bellezza al mondo, e riferimento d’eleganza.

Che poi, cos’è l’eleganza, se non un altro modo di creare bellezza?

Guardando quindi tutto dall’alto, in una visione d’insieme, quell’invito di Ro a visitare il labirinto della Masone di Fontanellato conferma che spesso le cose non accadono per caso.

Un sabato in tarda mattinata partiamo scegliendo la via naturale delle strade della bassa come emissarie alla via Emilia, lasciandola all’alba della località non prima di aver, forse fortunosamente, trovato un’altra fonte di bellezza sotto forma di una gastronomia che ha allungato davanti al banco i tavoli dell’accoglienza alla degustazione: tortelli fatti a mano, in brodo, un buon bicchiere di rosso frizzante altrettanto autoctono ci nutrono di puro piacere, degno preludio alla meta.

Il labirinto è stato per lui un sogno. Entrare in questo percorso contenuti tra decine di migliaia di bambù solo lievemente ondeggiati dall’aria, a tratti rari come fitti da oscurarti la luce e intimorirti, è come intraprendere un viaggio dove alla serenità del verde che salendo sfuma nell’azzurro si rovescia la medaglia dell’attenzione viva alla svolta, al bivio, al controllo. Ogni tanto incontri qualcuno, ma perlopiù ti senti solo quanto vivo, curioso e con la tentazione di lasciarti perdere, oltre che lasciar perdere, fuori da qui, un po’ tutto. A tratti un brusio ti conferma che c’è un centro, e nel centro c’è qualcuno ma dal labirinto non puoi accedervi e le svolte ti allontanano, di nuovo, nella solitudine del silenzio, del vento, delle canne lievi. Se da fuori forse pensavi fosse solo un esercizio, da dentro comprendi il perché. La bellezza del labirinto – che dall’alto è facile cogliere – da dentro ti riguarda, ne sei coinvolto, ci sei dentro e la vivi.

Joyside FMR Franco Maria Ricci labirinto

Grafico.

Oggi, questo termine appare ai più come desueto, un po’ come un lettore VHS o un floppy disk.

Grafico era Bob Noorda espandendo le fondamenta della brand identity. Grafico era Max Huber con la sua arte concisa. Grafico era Armando Testa, aprendo pioneristicamente nuove vie di comunicazione. Grafico era Neville Brody artefice di una rivoluzione tipografica. Grafico era il mio maestro Giovanni Galli a cui mi sono sentito a bottega. Grafico resta per me il termine più sintetico e consono per descrivere il mio mestiere, che è bellissimo. E Grafico – partendo da un primo poster e poi creando marchi meravigliosi – è il mestiere che Franco Maria Ricci si è scelto dopo il primo da geologo, presto abbandonato alla vista delle prime bellezze archeologiche della Mesopotamia. La bellezza porta anche alla rivoluzione.

Entrare nel museo pare quasi un rimettere in ordine, dopo lo smarrimento del labirintico errare. Ma l’ordine ce l’hai chiaro solo alla fine. Nel mentre parte da una caparbietà al limite della follia nel ristampare in maniera raffinata quel Manuale Tipografico di Bodoni che era IL SUO riferimento, che determinerà la base dello stile di tutto quello che, sull’onda dell’inaspettato successo di quella follia, andrà a pubblicare. A partire dalla rivista, bella quanto la bellezza delle opere raccontate e illustrate come mai nessuno prima di lui aveva fatto, dando a tutti la possibilità di assorbirle grazie alla scelta strategica di caratterizzarla con l’approfondimento di un libro ma con la varietà di una rivista, con testi altrettanto belli, vergati da nomi illustri che aveva saputo coinvolgere nella sua visione, come Italo Calvino, Jorge Luis Borges, Roland Barthes, Unberto Eco, Giovanni Testori.

Percorriamo il museo restando senza parole, cogliendo quanto la bellezza diffusa – delle opere raccolte in una vita e racchiusa in quelle da lui create – faccia emergere la sua scelta coerente, finale, grandiosa e molteplice.

Joyside FMR Franco Maria Ricci museo

La scelta di condividere la bellezza è una delle scelte più comuniste e antielitarie che si siano mai viste, fatta da un uomo che aveva tutto: gusto, classe, arte, ricchezza e che non vestiva certo eskimo o divise.

Condividere è lasciare consultare ogni libro, ogni rivista; è lasciare ogni opera senza transenne in modo da (per quanto si eviti naturalmente di toccare) sentirla vicina a tal punto da avvertirne la pelle, da sentirti accolto nella sua intimità.

Condividere è scegliere di investire i guadagni di una vita per lasciare qualcosa che sia eredità nel senso più profondo che questa parola può assumere, schiaffeggiata perennemente dalla vil pecunia a cui viene associata nella maggioritaria ed elitaria scelta imperante. Invece, eccoci ad abbeverarci, rallegrarci, meravigliarci, perderci, gioire e riempirci il cesto del suo lascito. Bellezza per tutti, indistintamente: bianchi, bassi, neri, alti, tozzi, sghembi, fighi e finanche un po’ rozzi, purché ben disposti.

Condividere è una scelta collaborativa anche con le altre realtà locali, come fa da sempre il mondo vegetale scelto per formare il labirinto, e in un mondo che si suicida insegnando la competizione ai propri figli è – di nuovo – pura bellezza.

Questa ricca visita (proseguita poi tra la rocca di Castell’Arquato per finire tra amici nella poco lontana Val Trebbia) diventa occasione – finalmente – di approfondire quel vecchio punto di riferimento, capire la sua grande opera, la sua visione, la sua immortalità nella sua scelta di vita. Fino all’ultima.