Domenica 4 agosto 1974. La quiete dei fitti boschi della regione dell’Eifel sta per essere rotta dal rombo assordante di 26 bolidi di Formula Uno. Gran premio di Germania, circuito del Nürburgring. Quello lungo.
“Qualsiasi pilota che dice di aver amato il ‘Ring, o mentiva o non andava abbastanza veloce” disse una volta Jackie Stewart. Uno che quel circuito l’ha vinto tre volte.
Le due rosse Ferrari 312 B3 occupano la prima fila. Erano anni che non lottavano per vincere e la B3 in fondo sembrava una macchina sbagliata; invece il ritorno di Forghieri e l’abbandono del campionato prototipi per concentrarsi sul suo sviluppo ha già portato due vittorie. Di Lauda, però.
Mancano pochi istanti al via. Clay, dalla seconda casella di partenza, è pensieroso.
Le cose non sono andate del tutto come voleva.
Non stanno andando del tutto come dovevano.
Nella gara d’esordio in Argentina, seppur in prima fila, era rimasto un po’ fregato alla partenza. “Attento, Clay: alzerò il braccio con la bandiera e poi lo abbasserò immediatamente”. Juan Manuel Fangio fa ripetutamente il gesto di attendere (probabilmente c’è qualcuno non ancora fermo nelle retrovie) e poi abbassa di colpo la bandiera. Clay parte male, rimane imbottigliato alla prima curva e parte in testacoda. Finito in fondo al gruppo si lancia in una rimonta impressionante, a colpi di continui ritocchi al record sul giro – con gli argentini che si dividono tra l’idolo locale Reutemann e lui, da sempre amato per il suo temperamento – fino a raggiungere la quarta posizione, alle spalle di Lauda. In testa sembrava ormai tutto stabilito, Reutemann e Hulme hanno un discreto vantaggio, così dai box segnalano ai ferraristi di mantenere le posizioni. Ma a 10 giri dalla fine l’argentino ha problemi con una presa d’aria e perde terreno. Hulme ci dà dentro fino a raggiungerlo al penultimo giro, con Carlos costretto a fermarsi lungo il circuito. Hulme vince la gara senza subire a sua volta una possibile rimonta delle Ferrari.
La prima di una lunga serie di strategie discutibili del box Ferrari.
Durante le prove è andato tutto bene, a parte un problema con l’alimentazione lungo la discesa dell’Adenau, dove gli scarichi bagnati di benzina avevano preso fuoco. Il giorno prima a Ronnie Peterson nello stesso punto si era staccato un cerchio ed era finito fuori, meno male senza conseguenze, mentre a Ganley andava peggio, lasciandoci entrambe le caviglie. Il Nordschleife è sotto osservazione da tempo, lo sanno tutti che è tanto bello quanto pericoloso. Hanno limato alcuni dossi, aggiunto guardrail e modificato in alcuni punti l’asfalto, ma resta un circuito che richiede molto, molto rispetto e attenzione. Anche il grande Mike Hailwood ebbe un primo incidente. Un primo avviso.
Anche la seconda gara non è certo all’insegna della fortuna. Interlagos, Brasile. Clay stavolta torna a fare una partenza a razzo delle sue e dalla terza fila è subito quarto; un po’ di fatica a superare Reutemann che fa da tappo per poi lanciarsi all’inseguimento di Nelson Fittipaldi, al comando. A tre quarti di gara uno scroscio di pioggia bagna il rettilineo e pochi altri tratti e il direttore di gara si affretta a sventolare la bandiera a scacchi davanti all’idolo di casa, che così vince anticipatamente. Dopo pochi minuti smette di piovere.
All fine delle prove Lauda conquista la pole, anche se per pochi decimi.
C’è qualcosa che non mi quadra nelle gomme, pensa Clay. Queste vengono costruite in maniera artigianale, a mano. Recano una serie di sigle di cui ignora ancora il significato. Servono per capire quando una gomma è stata costruita, e da chi. Con tutte le variabili di questo metodo, diventa fondamentale appaiare gomme fatte nello stesso giorno, dalla stessa persona.
Qualcun altro, lo sa.
Semaforo rosso.
Clay ha 35 punti in campionato. Fittipaldi 36, Lauda 38. Ma non è al campionato che pensa.
Verde. Via!
Alla prima curva Clay è primo. Di nuovo. Come a Montecarlo, quando ha beffato Lauda (e Montezemolo).
Perché a Montecarlo non doveva andare così.
A Monaco Niki strappa la pole position, grazie anche alle gomme da tempo. Gli organizzatori, per timori di problemi alla prima curva, decidono di sfalsare di 6 metri le macchine sulla stessa fila. Praticamente Niki in prima fila partiva da solo. “Siamo in prima fila” dice Montezemolo a Clay. “Cerchiamo di non ostacolarci. Chi parte davanti continui e l’altro cerchi di coprirgli le spalle”.
Anche l’anno prima era dietro Niki in griglia. E l’aveva fregato. Ma ora è più difficile.
Alla prima curva, Clay è in testa.
Ora deve solo stare attento al Casinò: nel primo giro otto vetture si cozzano e resta una chiazza d’olio. I commissari ad ogni giro buttano gesso per asciugarla, e spetta sempre al primo spazzarla. Ogni volta ci sbanda un po’ sopra ed è costretto a rallentare, per poi riprendersi. Alle spalle c’è Lauda, seguito da Jarier. Montezemolo è stato chiaro, non dovrebbero esserci problemi.
Invece no.
Forse per la prima volta, si vede un pilota attaccare in ogni modo il proprio compagno di squadra. Lauda gli sta incollato e fa di tutto per passarlo. Clay ha la macchina sempre più in sovrasterzo, è costretto ad anticipare sempre un pochino l’apertura del gas, finché alla piscina va in testacoda. In più si ritrova il sedile sganciato che si muove avanti e indietro.
Poco dopo Lauda si ritira. Lui finirà solo quarto.
“Come erano gli accordi?!?” Clay la sera è infuriato.
Sarà Lauda, giorni dopo, a confidare a un amico giornalista che a lui Montezemolo aveva detto di fare quello che voleva.
Nordkehre, seconda curva, quella che gira a sinistra dentro al bosco dell’Eifel, la porta dell’inferno verde. Lauda tira la frenata per superare disperatamente Scheckter. Ha paura che Clay stavolta gli sfugga. Ma sbanda a destra, urta Jody e finisce fuori. Definitivamente.
Clay vola. Finalmente, è libero. Il clima è asciutto, la macchina non ha alcun problema, i pensieri svaniscono. Alla fine del secondo giro ha 5 secondi di vantaggio. Fittipaldi è rimasto attardato al via dal tamponamento di Hulme, e poco dopo si ritira.
Terzo giro, altri due secondi e mezzo messi in cascina sul sudafricano. Ora c’è da sperare che il motore continui a cantare bene. Non come in Sudafrica, quando la pressione dell’olio è precipitata mentre era in terza posizione. In Svezia fu invece il cambio a rompersi, mentre era quarto. Non sarà, purtroppo, l’unica volta. Il 12 cilindri Ferrari è lungi dall’essere affidabile.
Quarto giro, 12 secondi di vantaggio.
“Cos’è questo odore di bruciato?”
Il pensiero va subito alle gomme, ma poi si tranquillizza. Sono i barbecue a lato della pista. Si continua a volare, leggeri, sul Flugplatz, sui saliscendi veloci dell’Aremberg e di Adenauer, nel toboga attorno al ponte di Breidscheid e nel risalire vertiginosamente su verso il Bergwerk.
Quinto giro, 16 secondi e mezzo di vantaggio. Il rebus delle infinite traiettorie è sciolto in leggerezza.
“Viveur, danseur, calciatore, tennista e, a tempo perso, pilota”.
La famosa definizione di Enzo Ferrari su Clay è fedele solo nella sua logica; per il resto è piuttosto ingenerosa (e probabilmente viziata da un pizzico d’invidia). Perfino Forghieri ammise che spesso il grosso dello sviluppo delle monoposto è stato fatto da Clay. Ferrari con i suoi piloti si è sempre comportato così: li metteva spesso uno contro l’altro. E ne ha contati tanti morti con le sue macchine. Non Clay. Perché per Regazzoni le corse erano tantissimo, ma non tutto. Per lui la vita era varia e molteplice, esisteva anche il godersi la vita, il buon cibo (adorava la cucina e il vino italiano), le belle donne, gli altri sport; non si tirava mai indietro se lo chiamavano, a Canzonissima o in tanti altri eventi, o a una semplice partita a tennis. Ed era l’ultimo ad andare a letto, la sera.
“Clay mi ha fatto imparare ad amare la vita” ammise Lauda, che pure con la fidanzata non parlava d’altro che di tempi sul giro.
Sesto giro.
Sulla visiera di Clay appaiono gocce di pioggia. Nella zona del Pflanzgarten c’è un temporale.
“Se rallento troppo, mi prendono”.
Al Nürburgring, prima di passare davanti alle segnalazioni dei box (unico modo di sapere quanto hai di vantaggio) passano molti minuti. Alla fine di quel giro, il vantaggio è salito a 33 secondi.
16 secondi guadagnati in un solo giro, mentre piove.
“A Clay non avevano detto che pioveva!” Disse Reutemann, terzo, a fine gara. Nel frattempo Mass scendeva di due posizioni, a vantaggio di Peterson e Ickx. Depailler tenta di passare Peterson ma finisce contro le barriere al ponte di Adenau e si ritira. Hailwood, il grande Mike, si spaccherà parecchio tra poco sul discesone del Pflanzgarten, compromettendo per sempre la sua carriera di pilota di Formula 1.
Decimo giro.
Il vantaggio è ormai di 50 secondi.
Chissà se in Ferrari hanno capito su chi devono puntare per il titolo… ma Clay è un personaggio troppo accomodante, sincero… ingenuo. Non ha ancora compreso, inoltre, un altro importante aspetto. “era d’importanza vitale poter parlare direttamente con Ferrari per eliminare l’interferenza dei suoi lacchè e informatori” scrisse Lauda, anni dopo, nel suo rancoroso Protokoll. Il Drake non veniva mai alle gare. Si fidava pressoché ciecamente di alcuni suoi ‘fedeli’ informatori che gli raccontavano quello che volevano. Era forse il suo limite più grande.
Clay ora amministra, danza come con la Carrà, sorride e vede la bandiera a scacchi per primo, 52 secondi prima di Scheckter.
Il volo, la souplesse, la classe infinita, la grazia che emanava in quel periodo, la sua forma evidente ammaliava tutti, coinvolgeva italiani come argentini, svizzeri come tedeschi. Tutti, fuorché un acerbo austriaco che non aveva certo la stessa referenza per la prima guida che aveva Clay con Ickx nel 1970 (e ci poteva anche stare) e che continuerà fino all’ultimo a fargli la guerra, e un direttore sportivo che nonostante l’evidenza (e il suo primo posto in campionato), continuava masochisticamente a non credere in lui, se non a sfavorirlo portando sempre l’acqua migliore all’altro fino all’ultimo (“Sicuramente l’asse Lauda-Montezemolo tendeva a metterlo un pochino in disparte.” ammise Lauda), con un Forghieri che anche a distanza di anni non riesce ad uscire dal ruolo di pesce in barile, ostinandosi a dare importanza a un tallone di Clay infortunato e non a un telaio vecchio di un anno con il quale fu costretto a correre nell’ultima – decisiva – gara, così fu buttato un mondiale pressoché già vinto.
Ma i boschi dell’Eifel, i dossi del Flugplatz e del Pflanzgarten, i lunghi rettifili del Tiergarden, il cementi del Karussel e tutti coloro che vedettero quella rossa Ferrari danzare nel verde e quei baffi sorridenti al centro dell’alloro, non dimenticheranno mai quel 4 agosto 1974 e quella splendida, cristallina, solare vittoria.
Al Nürburgring.