El Ghez. Storia di un colore.
Sul finire degli anni ’70 lavoravo alla Moto Guzzi in qualità di analista tempi & metodi: con questo incarico seguivo i reparti di montaggio motori, montaggio veicoli e verniciatura. Fu ai primi di gennaio del 1980 che mi trovavo a dare una mano a “Mao”, così chiamavamo Mario, il caporeparto della verniciatura, per via della forte somiglianza con Mao Tse-tung. Latte di vernice di tutte le fogge, catalizzatori, stucchi, fondi e filler riempivano l’angusto, freddo e aromatico magazzino delle vernici: lui mi dettava codici e quantità, io trascrivevo sulla scheda, appendevo il tagliando sulla catasta di latte e delimitavo con nastro adesivo per segnare la zona già inventariata.
A un certo punto mi detta un codice, descrizione “verde Opel“ chilogrammi 190!
Chiedo: “Mao, di cosa si tratta?? Cos’è sto verde Opel?!?”
Lui sbotta in una grassa risata, come suo solito si aggiusta i pantaloni poi esordisce: “Quando partimmo con la produzione della V7 Sport, una decina di anni fa, si voleva riprendere il colore delle moto da Gran Premio che ultimamente erano di un colore verdastro popolarmente denominato “verde ramarro”. Prima di verniciarle in quel colore si usava partecipare alle gare con le parti in elektron grezze, da nuove erano color alluminio, invecchiando si ossidavano diventando nerastre, diciamo un color ghisa. Ma questo non era per niente un problema. Fu un problema invece quando si cominciò a portare le moto da GP al Tourist Trophy: la salsedine faceva fiorire le lamiere come il pigo quando è in fregola! Le nostre moto sembrava avessero la varicella, tutte costellate di macchioline biancastre. Fu allora che l’ing. Carcano si presentò in reparto e ci chiese di spruzzare una mano di colore qualsivoglia, anche un trasparente purché rimanesse ben aggrappato. Noi si usava come aggrappante sulle superfici cromate lucide il wash primer della SVI, che tu conosci benissimo: contiene cromo ed è di un colore simile alla cedrata, verdastro trasparente; se aggrappa così bene sul cromo, pensammo, dovrebbe essere imbattibile anche sul magnesio. Provammo diversi campioni, facemmo la prova di aggrappaggio con reticolo e strappo, mettemmo un campione in nebbia cuprosalina acetica e i risultati furono giudicati soddisfacenti dall’ingegnere, anche se il campione messo in nebbia tendeva a scurire. Hai presente le stufe economiche degli anni ’50, quelle con i cerchi sulla piastra in ghisa? Ebbene, quelle stufe a primavera venivano pulite, si verniciava il cannone con un colore alluminio chiarissimo e la piastra col “metalcrom” color ghisa: la forbice delle tinte assunte dall’elektron era tra queste due colorazioni! Dicemmo all’ingegnere che se voleva potevamo dare su quel primer una mano di qualsiasi colore egli gradisse, ma lui rifiutò: “stiamo cercando la massima leggerezza possibile, abbiamo usato questa lega di magnesio che costa un occhio: se caricassimo di vernice verrebbe a pesare quanto l’alluminio!””
Fu così che cominciammo a verniciare le carene con quel prodotto che sulla superficie nuova biancastra appariva opalescente, color verde acido che ricordava la pancia del ghèz (ramarro nel nostro dialetto).
Poi, invecchiando, l’ossidazione anneriva, dando al verde una tonalità molto più scura e perdendo quasi del tutto l’opalescenza. E tornando a noi, alla scelta della tinta per la V7 Sport, nel 1969 non disponevamo di campioni freschi di vernice, non avevamo ancora il museo; da qualche parte esisteva una otto cilindri con il colore originale dal quale vennero confrontate le mazzette del tintometro: risultò a quel punto che la tinta più prossima era quel verde Opel, per precisione quella della Kadett che adesso ci ritroviamo in reparto.
L’ufficio acquisti ordinò allora duecento kg di quel verde, verniciammo alcuni pezzi per lo sperimentale ma vennero bocciati all’istante da quanti ricordavano la tinta com’era ai tempi delle corse. Convocammo allora i tecnici della SVI Standard: esposto il problema, istruiti circa l’utilizzo che facemmo del wash primer fecero questa considerazione logica: se voi volete una vernice identica dal punto di vista della tinta al wash primer, noi l’abbiamo. È quella che diamo alla Legnano per le biciclette. Si aggiusta il punto tinta lavorando sul colore del fondo che può essere bianco oppure argento metallizzato, ovvero del colore dell’elektron che più ci aggrada. Scegliemmo un argento metallizzato chiarissimo, che ricoprendolo con quel verde Legnano dette vita alla colorazione della V7 Sport. Con il verde Opel furono verniciati alcuni esemplari dello Stornello cinque marce, ma anche lì venne poi sostituito dal verde Legnano.
Passarono una dozzina d’anni e nel 1981 sostituii Mao – che se n’era andato in pensione – alla guida del reparto verniciatura. Una mattina, credo nel 1985, si presenta in reparto il Signor Todero. Ha in mano un lamierino che mi dice essere di elektron: “vediamo un po’ – mi dice – se è possibile sverniciare questo materiale, perché il Signor Tonti si è preso la briga di riverniciare la carena della otto cilindri prima di portarla al museo: pensando che il colore delle Guzzi fosse rosso, pensò bene di farla rossa, mo’ dobbiamo cambiarle colore e vedere di farla diventare verde ramarro“. Scartai a priori la soda caustica: già se ci metti un pezzo d’alluminio si scioglie completamente, figurarsi il magnesio! Provai a immergerne un pezzetto nello stripper: la parte immersa sparì in pochi secondi. Per scrupolo provai con la soda ma fu ancora peggio.
Tentai allora di spiegargli quel che mi aveva riferito Mao ma lui insistette per mandare un collaudatore a Lecco, dal colorificio Gandola perché, diceva, lì compravamo la vernice verdognola che si usava per le lamiere zincate. Essendo stati in quegli anni messi al bando i prodotti contenenti cromo, quando il collaudatore tornò la vernice che aveva con sé non era uguale a quella di una volta!
Sbottò Todero: “se po nò mandà quaidun in pista a ciapà un ghèz?” (non potremmo mandare qualcuno in pista a catturare un ramarro?)
Pensammo di correggere la tinta mischiandola con quanto disponevamo in reparto: con Nello il filettatore provammo piccole dosi mischiando le diverse combinazioni. Fu a quel punto che ebbi un problema all’impianto Ransburg, dovetti assentarmi e lasciare Nello e Todero soli a provare. Tornato dopo aver sistemato alcuni problemi in produzione, Nello mi disse che la tinta era pronta e che il Signor Todero aveva lasciato la latta con il colore definito all’impianto OLPI insieme alla carena già carteggiata e pronta da verniciare. Il mattino successivo, entrato in reparto poco prima delle otto, vedo sul tavolo di Nello la carena della otto cilindri, verde di un verde che sembrava un pezzo di una macchina utensile!
Chiamo il Signor. Todero, arriva dopo un poco con in mano la dima per l’ovale portanumero disegnata su un cartoncino ricavato da un calendario. Vede la carena e mi dice: “considera che ai tempi non ce n’era una uguale all’altra, a noi della squadra corse del punto tinta non interessava per niente: per me sta bene così!”
Fu così che mentre il Signor Todero si allontanava aiutai Nello a tracciare gli ovali portanumero: applicata la maschera, una spruzzatina di bianco e, una volta essiccato, un bel filetto nero di contorno e via!
Oggi, viste alcune rare foto a colori del periodo delle corse, col senno di poi avrei potuto provare ad utilizzare un argento più scuro sotto il trasparente verde, per esempio il grigio metallizzato della T3.
E alla fine, i 190 chili di verde Opel li abbiamo alienati nel ’94, quando il reparto fu smantellato. Mentre la dima dell’ovale portanumero ricavata dal calendario me la sono tenuta io.
Vanni Bettega
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