
Lino Poletti
Lino Poletti era stato per anni il nostro bottegaio abituale; il viso segnato da innumerevoli cicatrici bluastre, gestiva il negozietto di alimentari a Corenno.
Avevamo da lui il “libretto” su cui segnava la spesa quotidiana riportandola poi sul duplicato in nostro possesso, affinché potessimo controllarne la fedeltà. Ceduta l’attività del negozio di alimentari, si dedicò con la moglie all’albergo-ristorante della famiglia di lei.
Dopo qualche tempo trovò l’accordo per acquistare la cantina adiacente la sua, di proprietà della Curia. Noi eravamo un gruppetto di giovani sui 18 – 21 anni e frequentavamo spesso il bar del ristorante, sia per una partita a carte che per guardare la TV: ricordo di aver visto li l’esordio di Al Bano, nella trasmissione Settevoci del giovane Pippo Baudo: cantava “Nel sole” con una voce mai sentita!
Un giorno Poletti si avvicinò e ci chiese se potevamo dargli una mano a sistemare la cantina: già il muro di separazione era stato abbattuto; i detriti rimossi, rimaneva da sistemare le bottiglie sugli scaffali. Trovammo molte bottiglie sepolte a invecchiare nella sabbia, a pavimento: si trattava in maggior parte di bottiglie di Spanna e Gattinara provenienti dal castello di Lozzolo, annate 1964, 1966 e 1968.
Finito di sistemare tutta la cantina, Poletti ci regalò un paio di bottiglie ciascuno e, poiché nell’acquisto della cantina c’era pure un crotto con il tavolo in sasso, lo mise a nostra disposizione quale ritrovo esclusivo per la nostra compagnia. Lì ci si trovava specialmente la domenica, ordinavamo a prezzi modici salumi e formaggi che venivano innaffiati con le bottiglie dissotterrate: avevano – a suo dire – le etichette troppo rovinate per essere servite in sala ristorante, per cui nel giro di qualche tempo le scolammo tutte!
Mi colpi l’entusiasmo che Lino ci metteva nel vederci aggregati e, adesso che stavo leggendo in internet le “Considerazioni sulla 89° Brigata Garibaldi”, mi viene da immaginare che lo stesso spirito lo abbia avuto quel giorno, il 9 settembre del 1943 quando in casa sua a Somana si ritrovò con degli amici per fondare il gruppo “Cacciatori delle Alpi”, primissima organizzazione partigiana sorta dalle nostre parti, gruppo in cui iniziò pure il figlio di Carlo Guzzi, Ulisse (nome di battaglia Odo) che, in breve tempo, da pilota di complemento della Reale Aviazione Italiana divenne vice capo di Stato Maggiore del coordinamento delle Brigate Garibaldine della Lombardia. I “cacciatori delle Alpi“ divennero la 89° Brigata Garibaldi; poi, in seguito al martirio di due componenti il gruppo, Giovanni, cugino di Lino e Giuseppe Poletti, fratello di Lino, fu identificata come “Brigata Poletti”. Gran parte dei componenti la Brigata era composta da ragazzi per lo più sbandati, cioè che non vollero arruolarsi nell’Esercito costituitosi dopo l’otto settembre ad opera delle camicie nere della RSI e dai tedeschi. Poletti all’inizio si dava da fare per dare aiuto a quanti stavano fuggendo, li accompagnava a Dorio per nasconderli su qualche carro merci in partenza dalla stazione, oppure sempre a Dorio o a Corenno, dove conosceva diversi barcaioli che nottetempo li trasportavano sull’altra sponda, per poi scavalcare il Bregagno e trasferirsi in Svizzera. Tra questi tanti ebrei, sbandati di eserciti stranieri, perseguitati politici, reduci di guerra in cerca di rifugi e altro. Poi si inventò uno stratagemma per evitare ritorsioni ai danni dei parenti dei ragazzi che arruolava: li raccoglieva il giorno stesso in cui avrebbero dovuto partire per il servizio militare: sembra che la cosa, complice forse la confusione regnante all’interno della RSI, abbia funzionato perfettamente!
La signora Angela Locatelli, moglie di Ulisse, si prodigò moltissimo per aiutare i ragazzi del gruppo che stavano con Poletti (nome di battaglia: Claudio) dislocati nelle baite sparse tra le Grigne. Questi erano malnutriti, poco o niente addestrati, soprattutto carenti di munizioni. Successe che si presentarono loro due soldati polacchi intenzionati a disertare le fila dell’Esercito Tedesco: in cambio dell’accettazione proposero ai Partigiani una cassa colma di armi e munizioni trafugata ai tedeschi. Già tra i Partigiani operavano alcuni disertori polacchi, per cui Claudio ritenne abbastanza attendibile la proposta. Invece l’affare si rivelò una trappola: fatti pochi metri con la cassa in spalla, questa esplose uccidendo alcuni Partigiani e ferendo in modo grave Claudio. Curato presso l’Ospedale di Bellano, per lui la guerra era ormai finita. Più tardi verrà insignito con la medaglia d’oro e il grado di Colonnello dei Partigiani. Ne scrivo volentieri per riconoscenza: quando mio papà andò in pensione, io avrei dovuto effettuare il servizio militare, dichiarato abile arruolato presso il distretto di Como. Il giorno stesso in cui uscii dal distretto assistetti ai funerali di Gigi Meroni. Ebbene, Poletti si offrì a papà di intervenire presso conoscenze sue per passarmi sostegno famiglia, anche se non ce ne fu bisogno perché 2 mesi dopo, colpito da infarto, papà venne a mancare. Un’altra volta mi presentò a un industriale di Mandello che necessitava di un ragazzo, parlandogli molto bene di me: questi mi assunse pagandomi il doppio di quanto prendevo allora nell’officina di Germanedo.
Al di là di queste considerazioni, Poletti fu per me uno di quegli uomini da cui, in termini di lezioni di vita, si ha molto da imparare.
In quel periodo alla Moto Guzzi la proprietà era rappresentata dal dr. Enrico Parodi, Amministratore Delegato era il rag. Bonelli. Erano entrambi dichiaratamente fascisti: gli anziani che conobbero Bonelli ne parlavano come di un “fascistone della prima ora”.
Per la verità, già il 27 settembre del 43, cioè il giorno dopo la sfiducia a Mussolini, il dr. Enrico accolse nel suo ufficio una delegazione di operai preoccupati per la loro sorte. Ottenne per loro la certezza che nessun operaio sarebbe stato arruolato nell’esercito e nessuno di essi sarebbe stato deportato in Germania. Si recò pure alla caserma dei Carabinieri e riuscì ad ottenere la liberazione di tutti i detenuti politici. Mentre al garage, cioè all’ingresso della fabbrica, il mio amico Piero Pomi riparava le Zundapp e le BMW sotto la sorveglianza del Maresciallo Urbansky cercando talvolta di rubargli la benzina, nel lato opposto dello stabilimento, probabilmente celata in una cabina di trasformazione, funzionava una radio trasmittente di importante funzione strategica per i Partigiani.
I dirigenti Guzzi, con l’obiettivo di salvare l’azienda, davano sì il contentino alla RSI però nel contempo aiutarono con finanziamenti e addirittura visite sul posto compiute dal Rag. Gerardo Bonelli le Brigate Partigiane della zona. Ciò valse l’assoluzione da parte della commissione per l’Epurazione di tutto lo staff dirigenziale della Moto Guzzi.
Odo, tornato a fine guerra dalle montagne, non nascose le proprie spiccate simpatie per il Partito Comunista: presentatosi alla Unione Industriali di Lecco col fazzoletto rosso al collo fu estromesso dalla Moto Guzzi e non poté più metterci piede: la Guerra Fredda era già iniziata!!
Carlo Guzzi, dal canto suo, da tempo stava lavorando su una richiesta del Ministero dell’Unificazione. Succedeva che i magneti dei nostri motori, per la morfologia stessa del motore, girassero in senso opposto rispetto ai motori Sertum e Gilera. La richiesta del ministero era quella di fare in modo di poter utilizzare lo stesso magnete di queste altre case sui nostri motori. Si trattava di una richiesta alquanto assurda: richiedeva infatti un ripensamento piuttosto radicale della meccanica Guzzi.
Quando qualcuno gli riferì dei fatti di Dongo, cioè della morte di Mussolini, il suo commento fu: “Ah sì? Alura podem fa girà el mutur cum’è gh’em voia num!” (A sì? Allora possiamo far girare il motore come vogliamo noi!!).
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