Joyside Moto Guzzi corsa Paolo Canattieri

La storia delle Moto Guzzi a V di 90° da competizione è una storia lunga, che ha vissuto diversi cicli di sviluppo e di recessione (per dirla da economista) e che probabilmente nei prossimi anni – complice l’attuale piena epoca vintage – vivrà una nuova fase di espansione.

Le origini dell’epopea sportiva di questi modelli sono state le gare di Endurance dei primissimi anni ’70, quando la Moto Guzzi, dopo il nefasto addio alle competizioni del 1957 e la breve parentesi nella regolarità nei primi anni ’60, tornò ufficialmente a dire la sua nei circuiti di velocità con una moto nata turistica ma che, grazie al genio illuminato di Lino Tonti, si tramutò magicamente in moto sportiva.

La discesa nella torrida corrida della 24 ore di Le Mans, nel Bol d’Or e nel relativo campionato Endurance esondò nel mondo dei piloti privati: dopo il ritiro ufficiale della Moto Guzzi, lungo tutti gli anni ’70 non mancarono bolidi belli pepati preparati ad arte e passione da concessionari e piloti. In seguito, la progressiva perdita di competitività unita alla mancanza di reale sviluppo da parte della casa madre costrinsero tanti manici a dover approdare ad altre marche, potenze e ciclistiche, ma nel decennio seguente, con la nascita in più continenti di campionati riservati alle bicilindriche (come la BOTT e la Supertwins) si riaprì il recinto delle belve da corsa marchiate Moto Guzzi (e non è cosa da poco, se si pensa che da questo nuovo fermento nascerà la nuova sportiva di serie, la Daytona), per poi di nuovo – sempre per la medesima recidiva mancanza di sviluppo ed evoluzione ‘ufficiale’ – lasciare che le marche concorrenti prendessero il sopravvento, con pochi sparuti testardi dai pochi mezzi ma dal grande cuore a continuare le battaglie in pista ostinandosi col motore a V trasversale. È dall’incrocio di una di queste ultime storie di Moto Guzzi da corsa con un grande appassionato di quell’epoca che nasce la protagonista di oggi. Un risultato frutto del lavoro di quattro mani, quelle di Ezio e Paolo, quasi a sottolineare che si fa mai niente da solo.

Joyside Moto Guzzi corsa Paolo Canattieri

Le origini di questa affascinante sportiva sono nobili. Qualsiasi moto portata nella savana delle competizioni, che abbia solcato l’asfalto e i cordoli delle piste e che abbia preso in faccia i residui di gomme abrase acquista sempre un blasone aggiuntivo non indifferente.

Chiunque abbia provato a cimentarsi in questa impresa sa cosa intendo. Le gare nelle quali si è misurata con le altre bicilindriche sono state quelle del campionato italiano BOTT degli anni ’90 e il prode cavaliere che l’ha partorita e condotta è Ezio Cassetti, brillante e indimenticato meccanico del bresciano.

Già all’epoca presentava diverse modifiche succulente rispetto all’originario Le Mans: il telaio Tonti era stato ridotto con l’asportazione delle semiculle, tagliato con l’accetta a valle del serbatoio e subito l’innesto con un telaietto posteriore molto più leggero; il forcellone posteriore era stato modificato per azionare un monoammortizzatore in luogo dei classici due. Già qui siamo abbondantemente fuori dalla banalità. Poi Paolo Canattieri ha rilevato oltre che la moto anche la sana arte pastrugnatoria, cambiando le forcelle, installando il gommone dietro (una vera fissazione), creando l’impianto di scarico riciclando dei tubi Daytona e un uno in due RSV1000 e il resto, sul quale scommetto avete già fatto cadere l’occhio.

Joyside Moto Guzzi corsa Paolo Canattieri

Le origini di questa affascinante sportiva sono nobili. Qualsiasi moto portata nella savana delle competizioni, che abbia solcato l’asfalto e i cordoli delle piste e che abbia preso in faccia i residui di gomme abrase acquista sempre un blasone aggiuntivo non indifferente.

Chiunque abbia provato a cimentarsi in questa impresa sa cosa intendo. Le gare nelle quali si è misurata con le altre bicilindriche sono state quelle del campionato italiano BOTT degli anni ’90 e il prode cavaliere che l’ha partorita e condotta è Ezio Cassetti, brillante e indimenticato meccanico del bresciano.

Già all’epoca presentava diverse modifiche succulente rispetto all’originario Le Mans: il telaio Tonti era stato ridotto con l’asportazione delle semiculle, tagliato con l’accetta a valle del serbatoio e subito l’innesto con un telaietto posteriore molto più leggero; il forcellone posteriore era stato modificato per azionare un monoammortizzatore in luogo dei classici due. Già qui siamo abbondantemente fuori dalla banalità. Poi Paolo Canattieri ha rilevato oltre che la moto anche la sana arte pastrugnatoria, cambiando le forcelle, installando il gommone dietro (una vera fissazione), creando l’impianto di scarico riciclando dei tubi Daytona e un uno in due RSV1000 e il resto, sul quale scommetto avete già fatto cadere l’occhio.

Ma la legittima ‘proprietà’ di questa moto è data anche da un altro aspetto, sul quale Paolo sorvola con noncuranza ma che costituisce una parte di vita vissuta che lascia sempre qualcosa nelle saccocce dell’onore. Anche lui ha avuto la sua – seppur breve – parentesi sportiva nelle gare di Endurance di 2 ore degli anni ’90 con una Ghezzi & Brian, nel periodo in cui BOTT e Supertwins si erano un po’ perse. Era dura, molto dura: la moto era dotata di un motore poco più che di serie, mentre a fianco correvano piloti come Borca, Lucchinelli e Dario Marchetti; gente dotata di missili con molti più cavalli, oltre che di grande manico. E ho come il sospetto che dedicarsi al restauro e alle rielaborazioni in garage di una moto sportiva sia anche un modo di tener vivo l’animo corsaiolo più personale, nel momento in cui – per un motivo o per l’altro – non lo puoi più fare in pista.

Joyside Moto Guzzi corsa Paolo Canattieri
Joyside Moto Guzzi corsa Paolo Canattieri

Paolo non è un preparatore professionista: gode dei mezzi di un semplice appassionato, accumulando fieno in cascina con l’occhio in avanti e la mente a frullare idee, finché non ti chiama con qualcosa di nuovo. Capita spesso di vedere special le cui carrozzerie sono mix di pezzi presi da diverse moto. Il più delle volte restano vittime dell’effetto Frankenstein: le origini dei vari elementi restano troppo palesi, comprese le relative anime che tendono un po’ a spintonarsi tra loro, dando al tutto un effetto posticcio. In questo caso (e in generale nelle sue creazioni) questa controindicazione è assente dal bugiardino: le parti assemblate riescono a formare un insieme con un’unica anima nuova, indipendente, autentica e non “somma di qualcosa”. Anche senza dover raccordare ad ogni costo ogni parte. Qui ci sono alcuni avvicinamenti tra codone e serbatoio come tra telaio e telaietto posteriore che sembrano più baci tra adolescenti irruenti che unioni consolidate. Questione di equilibrio di forme e di pesi e poche cose come le motociclette sfidano questa regola generale. È la parte più artistica del lavoro ed è quella che fa la differenza.

Siamo sulla sommità del box di casa, fotografando la moto dall’alto. “Paolo, da dove arriva quel cupolino così basso e arrotondato?”“mmm… accidenti, non ricordo”. “sembra quello della Buell; chiaro che non è quello però ricorda quell’andamento”“sì, vero… sto cercando di ricordarmi da dove arriva… niente.” E in fondo, che importa? Ora, di fatto, anche grazie a un paio di ritocchi, è di questa moto, e solo di questa.

Personalmente adoro un dettaglio particolare di questo bolide. Frutto di un’idea che sulla carta potresti pensare che non ci stia, che non possano convivere due ingredienti contrastanti come le teste tonde e le linee moderne. Sarà che queste ultime sono fondamentalmente scevre da spigoli veri, comunque sia, il risultato contiene una certa dose di stupore.

Uno degli aspetti che rende il suo estro unico è l’eterogenità delle provenienze. Dentro ogni sua motocicletta c’è una fetta molto ampia del mondo delle preparazioni e dell’elaborazione, facendo convivere in maniera naturale specialisti del mondo Guzzi come Motogiovane, Magni e l’omnipresente Bruno Scola ad artigiani come Domenico Dotta (il fondatore di Quat-D) o il proprietario della Mupo creando armonia allo stesso modo di chi disegna le moto nella sua totalità, prelevando le parti adatte allo scopo senza per forza di cose sposare nessuno. “Non guardo mai le special degli altri, non voglio assolutamente essere influenzato o condizionato: voglio solo fare quello che ho in testa e che piace a me”. Preservare un proprio processo, una propria ricetta, un proprio filone d’oro scoperto, come se il ‘contaminarlo’ potesse fargli correre il rischio di esaurirsi. Il suo è una specie di istinto di preservazione.

E – mi raccomando – che le origini siano sportive. Forse unico comun denominatore, il fatto che ogni idea contenga sempre la sfida dell’estremo incarnato dalle linee tese e filanti, da dimensioni rastremate per la leggerezza, alternate a volumi importanti solo se necessari alla finalizzazione del concetto di potenza; altrimenti saranno soggetti ad implacabili dosi di dimagrimento. Così è cresciuto il cerchio posteriore a 6,5 pollici, l’alesaggio a 92 (pistoni fatti ad hoc) e le valvole agli esosi valori di 51 aspirazione e 47 di scarico; è cambiata la composizione di queste ultime, ora in Nymonic per sopportare meglio il polso pesante; la forcella è diventata una Öhlins traslata dal suo Daytona; le pinze anteriori sono Performance Technology alloggiate su piedini forcella fatti fare appositamente; il codino è di nobile origine mondiale 125 (per la precisione Honda) magicamente abbinato al serbatoio di origine Daytona, infighettato dal bocchettone rapido Bursi in magnesio.

Joyside Moto Guzzi corsa Paolo Canattieri

C’è una sacralità in ogni opera realizzata, in ogni tavolozza a forma di motocicletta, perché in fondo non sono altro che espressioni d’amore. L’intervento di Paolo è tale ed è bello perché coniuga il rispetto per il sentimento del precedente artista con l’esigenza personale: se quest’ultima fosse stata distruttiva, il risultato finale non sarebbe più rientrato come tale. Ho anche avuto la fortuna di conoscere Ezio, personaggio mosso e custode del sacro fuoco, come in fondo tutti coloro che hanno perso tanto di quel tempo e denaro vergando asfalto per far cantare le proprie creature o per usarle come volani per le proprie, creando storie non meno preziose di quelle titolate ufficialmente. Almeno finché manteniamo la passione al primo posto nei nostri criteri di scelta.