Passato il pigro ferragosto, ci mettiamo alla ricerca di qualcuno che possa saldare il nostro portapacchi. Dopo l’inutile ricerca di un meccanico suggerito dalla chocolaterie del centro ma di fatto introvabile, ne scoviamo uno di moto multimarche, dall’aspetto un po’ scrauso e naif ma dall’occhio sveglio, che dopo una rapida occhiata, con assoluta nonchalance ci dice di ripassare alle 16 a riprenderla, sarà a posto.
Santi meccanici universali. Meccanici magari un po’ rudi e poco corporate ma veri e risolutori con poco, non semplici ricambisti come a volte capita di riscontrare in alcuni ufficiali, che non riparano più ma ragionano solo a sostituire con costosi ricambi ufficiali.
Così, alle 16 in punto torniamo al campeggio con una bella (beh oddio, bella non tanto ma efficace, quello sì) saldatura al portapacchi cromato che ci leva ogni ansia. A dirla tutta, non è neppure tanto vero “torniamo al campeggio”, visto che non resistiamo alla tentazione di un’escursione anche se inevitabilmente breve, vista l’ora e il tempo che volge al grigio. Ci infiliamo per una valle laterale ad ovest, facendo la conoscenza di Les Vigneaux e Vallouise con relativi allegri villeggianti e il profumo dell’erba tagliata lungo il tragitto, prima del rapido dietrofront alle prime gocce di pioggia.
Il livello di benessere è elevato. Siamo in una zona incantevole quanto foriera di sorprese, il clima è semplicemente ideale a tal punto dal farci scartare idealmente ogni meta al di sotto dei 1000 metri di quota, Briançon alta è incantevole con diversi ristorantini dove lasciarsi stendere dalle prelibatezze locali (oltre a quelli nelle vicinanze), il campeggio è semplice e pulito piscina compresa e frequentato da bella gente… insomma all’appello rispondono con entusiasmo tutti i validi motivi per soddisfare uno dei bisogni sacrosanti della vacanza, il relax, per riservare il ritorno all’ultimo giorno valido.
Quindi, prendo la cartina e comincio a delineare la ripartenza di domani. Sarà l’indomabile istinto nomade, che spinge a cercare sempre nuovi panorami? O l’inquietudine lombarda ad essere sempre in movimento? La tossicodipendenza a sniffare i leggiadri freschi e muschiati profumi nell’immersione in questa natura ricca di varietà floreali e arboree, oppure l’irrefrenabile goduria a viaggiare in sella alla nostra Moto Guzzi California II?
“Rincoglionismo”. Più sintetico, direi.
Abbiamo due giorni effettivi a disposizione per esplorare e per evitare strade conosciute è necessario abbandonare il campo base per salire non solo di quota ma soprattutto di latitudine. Abbiamo esplorato i passi ad ovest, est e sud di Brianzone, cosa resta se non il grande nord, meta immemore da sempre delle esplorazioni più ardite, sin dai tempi di Amundsen, Hilary (non Clinton), Lindb… ok nel nostro caso è un piccolo nord, quel che basta per affrontare le scalate al Monginevro lato ovest (sembra epico ma è asfaltato), Moncenisio, Iseran, Cormet de Roselend, Colombière, Montets, Forclaz e infine Gran San Bernardo in corale sinfonia alpina, per alfine salutare Aosta nell’ultima notte esotica e poi tornare al disio.
Caricato il pesante fardello al portapacchi tornato elemento singolare, ripercorriamo quel tanto che basta la strada già nota fino alla svolta a sinistra per il Moncenisio, molto bello in salita sul versante italiano, sicuramente il più adatto territorialmente a una moto sportiva, grazie all’asfalto quasi perfetto, alla carreggiata molto ampia e all’andamento misto-veloce, con rare curve strette, almeno fino a poco prima del bellissimo lago, dal colore invitante e dalla forte disputa cromatica con il cielo. Scollinando sul lato francese invece la strada è molto ondulata e l’asfalto distonico, anche se i rappezzi sembrano fatti da un sarto: il loro andamento e il fatto che abbiano un bordino scuro di contorno danno un piacevole effetto quasi di trama, di tessuto. La discesa è repentina e in poco tempo raggiungiamo il fondo valle attraversando località curate come Lanslevillard e dando sguardi perversi ai ghiacciai laterali. Al bivio svolta a destra e dopo il breve preludio del Col de la Madeleine è la volta del Col de L’Iseran.
Forse il passo più bello.
Una salita con continue scollature su vallate suadenti sormontate da ghiacciai, la strada al margine che offre obliqui panorami laterali e la mancanza di alcun parapetto accentua la vertigine e attira lo sguardo verso il basso, mentre il verde che ricopre tutto sfuma in alto ai margini rocciosi come fosse diffuso con l’aerografo. SI sale sempre più, finché le cime anche se blu sono basse sotto di noi, fino al culmine dei 2.764 metri immersi tra blu bianco e verde. Grandioso, esaltante, sereno.
Neanche il tempo di dire “Val d’Isère ed è già ora di risalire verso il Cormet de Roselend, con il verde del manto erboso attaccato alla strada senza mai mostrare alcun tratto roccioso o terroso, come se fosse stata opera di un’infallibile tappezziere. Dopo lo scollino, la bellezza di un ruscello che penetra una trentina di centimetri nel prato soffice e compatto mi riaffiora ricordi bucolici d’infanzia. Dopo un gradino di discesa, l’abbaglio del sole delle cinque riflesso nel lago omonimo che tinge d’argento il blu dell’acqua. Ancora, un altro lago che meriterebbe la sosta d’assaggio fisico, lasciato il quale ci lanciamo in discesa ripida in mezzo a un buio bosco dove ti aspetti la comparsa di qualche gnomo, godendo dei profumi umidi tra funghi e pigne di sempreverdi. Ed infine, Beaufor, tappa finale della giornata, dove lasciarsi andare alla degustazione del loro tipico formaggio che non manca di segnare l’olfatto della ridente cittadina.
Lasciamo l’indomani Beaufor per proseguire lungo la Route des Grandes Alpes, scendendo a un tiro di schioppo da Albertville che abbiamo già assaporato in precedenti viaggi transalpini. Freccia a destra verso il Col de la Colombière e saliamo rapidamente come su un ascensore, consentendoci stavolta di avere una visione dall’alto della vallata sottostante. Salito il costone sbuchiamo su ampi e rotondi pratoni costellati ogni due per tre di bellissimi chalet a base bianca e cappella in legno. Siamo su una specie di altipiano al cui centro c’è Saisies e le sue distese di campi da sci. Il cielo è terso con ancora in basso un po’ di foschia mattutina e l’aria profuma di legna. Merita una sosta caffè.
La salita sull’ultimo passo della Route des Grandes Alpes è percorsa nel verde accompagnata da gruppi di abeti curiosamente sparsi in piccoli gruppetti come grandi pinguini nella distesa di verde, attraversando località sciistiche e con la continua vista di impianti, fino all’alpeggio macchiato di mucche al pascolo del Col finale. Si tratterà ora di ridiscendere al caldo in direzione Chamonix e poi Martigny, per sferrare l’attacco all’ultimo passo della vacanza: il Gran San Bernardo.
A Cluses pranziamo sotto una calura terrificante che ci ammazza. Ci riprendiamo in autostrada, non solo per il sollievo dell’aria. Questo tratto verso Chamonix non è certo la prima volta che l’affronto, ma è la prima volta senza nubi, con il cielo ben terso.
E quello che trovo davanti è il Panorama maiuscolo mozzafiato del Monte Bianco toccato da una nube che sembra un fumogeno bianco sparato dalla vetta, manco fosse l’Everest.
Tanta la meraviglia quanto lo smaronamento per la totale assenza di aree di sosta per scattare una degna foto ricordo di quella meraviglia.
Entriamo in una gradevole zona boscosa e garbatamente turistica, d’altronde stiamo per sconfinare in Svizzera, cosa che avviene appena valicato il Colle des Montets. Siamo al penultimo della ricca collezione prêt-à-porter di valichi alpini, il Colle della Forclaz, dalla fitta e alta foresta che in discesa verso Martigny offre rari squarci panoramici sulla valle del Rodano.
Ed è giunta l’ora dell’ultimo valico, quel Gran San Bernardo per me inedito, fors’anche banale per alcuni; certamente assaporato fino all’ultimo tra varianti di blu in ascesa e discesa senza comode quanto inopportune scorciatoie traforistiche. Aosta suggella la fine della vacanza e la fine delle novità, essendo da noi ben conosciuta ed utilizzata sia come base d’appoggio per diversi raduni Spadino, sia per mezze settimane bianche nelle vacanze invernali, essendo uno splendido compromesso tra la facilità di utilizzo delle piste di Pila grazie alla comodissima funivia, e la dimensione cittadina per chi non ama troppo (o per niente) sciare.
Monginevro, Lautaret, Galibier, le Col, Télegraphe, Glandon, Croix de Fer, di nuovo Lautaret, d’Izoard, Vars, Gap, di nuovo Monginevro, Moncenisio, Madeleine, Iseran, Cormet de Roselend, Saisies, Col de la Colombière, Aravis, Montets, Forclaz, Gran San Bernardo. Sembra un tirannico tour de force in considerazione dei pochi giorni. In realtà, percorso di grande naturalezza e senza alcun affanno, con tutti i sensi soddisfatti.
Alberto Sala
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