Costeggiamo il bordo sinistro di un grosso e scuro corpo nuvoloso, che non promette nulla di buono. Da stamattina la pesante cappa d’afa è sparita, finalmente. L’aria è fresca e frizzante, nel cielo nuvole disordinate hanno sgombrato risolutamente l’aria da ogni residuo di foschia. Sto tirando nella speranza di arrivare all’autogrill prima che piova… La nostra direzione verso Torino non contempla alcuna svolta a sinistra per evitare il nero e non mi illudo di scamparla ancora per molto. D’altra parte ho già resistito non poco, devo per forza fermarmi: mangiare l’anguria appena prima di partire non è stata un’idea brillante. Alla ripartenza siamo protetti (e più leggeri) e possiamo affrontare tranquilli le nuvole scure, anche se alla fine di acqua il margine non ne può contenere poi molta. Alla nostra sinistra godiamo dello spettacolo di formazioni infantili di nuvolette bianche che stazionano giocosamente poco sopra l’orizzonte, inframmezzando le variazioni dell’azzurro e del blu. Abbiamo la fortuna di avere come consolazione paesaggistica un bel cielo, come di rado capita nella fosca pianura padana. Dopo un altro srotolarsi di strada rettilinea e dopo un paio di cartelli indicatori, ho la sensazione che Torino venga continuamente spostata a ovest, in tempo reale. Mi verrebbe la tentazione di fare una verifica controllando i chilometri mancanti con il tachimetro (con il navigatore non riesco, è sprofondato in un antro della tasca superiore della borsa da serbatoio), ma poi mi ricordo che anche questo tratto, la Milano-Torino soffre della dilatazione spazio-temporale tipica della Milano Bologna. In pratica, si può affermare che Milano sia posta al centro di un deserto autostradale. Qualunque direzione tu intraprenda, per almeno due ore sei inghiottito dalla noia e dal nulla. Fortuna che oggi c’è da distrarsi col cielo.

Una volta imboccata la val di Susa, è tutta un’altra storia. Saliamo lentamente di quota mentre il vento laterale rinforza a tal punto da rovesciare i palmi delle foglie rivelandone il chiarore e l’atmosfera si fa sempre più tersa e frizzante. Lasciamo la strada veloce per svoltare a sinistra verso il Monginevro di cui ho un bel ricordo risalente a una dozzina di anni prima con il Wesfalia e lo ritrovo molto diverso, abbreviato da gallerie che francamente non ricordavo. Il lato francese invece mantiene intatto il suo piacere curvilineo e panoramico. Non è tardi e possiamo concederci una sosta su un terrazzo affacciato sulla valle sottostante, che ancora cela la nostra meta: Briançon.

Il piano d’azione è molto condizionato dalle circostanze: Rosella ha una sola settimana di ferie, oltretutto la centrale d’agosto, l’unica settimana dove ci è capitato anche nel nord Europa di rischiare di non trovar posto nei campeggi. In più un improvviso strappo alla sua schiena ha rischiato di compromettere tutto, così sarà d’uopo fare campo base in questa cittadina fortificata e fare il primo giorno di relax,

prima di sferrare l’attacco, con la nostra Moto Guzzi California II, a tutti i passi di montagna che avremmo scovato in zona, come cercatori d’oro nel Klondike di Londoniana memoria.

“Fa freddo”.

“Non esiste il freddo, esiste solo un pessimo equipaggiamento”.

Dodici anni di scoutismo per poi fare una figuraccia da spina malefica. Rosella aveva scrutato bene il meteo, la temperatura minima a Briançon era data a non più di 7 gradi. Il problema è il momento in cui leggi la notizia… a casa c’erano ancora 35 gradi e passa… Non riesco a recepire quel piccolo allarme in altro modo che come sollievo alla calura. Siamo partiti con un sacco pesante (che naturalmente sarà appannaggio di chi aveva avvisato) e uno estivo, pur con l’aggiunta del cispa. Il cispa è un manto in pile che normalmente sta languidamente adagiato d’inverno sul divano, quando guardi pigro la televisione. C’è da dire che, anche volendo, un altro sacco pesante da moto non l’avrei avuto, comunque sia la figuraccia da navigatore della domenica non me la toglie nessuno.

Guardando indietro, dal col du Lautaret.

La salita verso il col du Lautaret è uno splendido misto veloce, avvolto dal verde e dalle altre tonalità di colore delle rocce, adagiato su un fondo valle abbastanza ampio e sede di molti punti di riferimento per sciatori e non solo, e lo vedremo al ritorno. Sul colle assaggiamo il primo dei tanti panorami che questa zona offre generosamente. Pinnacoli in puro stile alpino con tanto di ghiacciai si alternano a formazioni di scuola più dolomitica, offrendo uno scenario all inclusive. Svoltiamo a destra in direzione del col du Galibier e i suoi 2642 metri di altitudine. Già da Briançon percepiamo la forte componente ciclistica di questa zona: sono le cime teatri di epiche sfide, che siano a nome Hinault, Indurain, Merkx, Anquetil o di semplici appassionati poco importa. Vedi cimentarsi in questa fatica ciclisti di ogni tipo e ogni volta che li supero cerco di far inalare loro meno gas di scarico possibile. Massimo rispetto. La sensazione di altezza man mano che saliamo è notevole: guardando sulla destra in direzione di Briançon siamo più alti di tutte le cime, avendo davvero la sensazione di salire su un piccolo tetto, quantomeno di questo mondo. In discesa, le scritte a terra e sui muri si moltiplicano; ne scovo una da iscrivere a registro storico, inneggiante Claudio Chiappucci.

Joyside Briancon viaggio in motocicletta
Salendo verso il col du Galibier.

Le Col e Col du Télegraphe ci accompagnano alla discesa a fondo valle, sia per proseguire l’anello attorno al massiccio delle Grandes Rousses sia per deviare verso una strada assurda che ho in mente di scovare.

Procediamo nel fondo valle schiacciato dalle pareti spioventi e mi cade l’occhio su una piccola chiesetta piazzata su un cocuzzolo a ridosso di quello che sembra uno strapiombo. Mi sta per partire il pensiero sulla mania cattolica di piazzare i suoi templi in posizioni sempre dominanti quando mi accordo che quella è la meta del nostro percorso: là sotto, dove mai penseresti fosse possibile, parte una strada che sarebbe meglio definire una mulattiera, fatta di continui tornanti a zigzag dove un’auto di medio cabotaggio occupa tutta la carreggiata e dove raramente riesci ad inserire la seconda, mentre sugli strapiombi a lato si cimentano gruppetti di scalatori ben attrezzati. Da lassù, poco prima di Grenis, si riesce ad avere una parziale vista d’insieme della strada, oltre a godere di un panorama bello come un plastico: le montagne, il fiume, l’autostrada, la strada e la ferrovia.

La rampa di tornanti a raggiungere Grenis

Salutata la quiete di Grenis, sbaglio strada e affrontiamo la salita verso il col du Glandon dalla parte sbagliata. Sarà vero?

Questa salita dolce con il verde che ricopre tutto come un immenso muschio solcato da ruscelli a bordo strada è fiabesca e ci avvolge con i suoi profumi alternati tra sottobosco e erba tagliata condendo il pomeriggio di ogni ben di Dio,

sino alla cima del Col du Glandon, dove ci avventuriamo per un piccolo sentiero ad allargare il panorama orizzontale. Non siamo certo soli, ma l’atmosfera è talmente bella e serena da riempirti comunque di conquista. Da qui saliamo velocemente in andata e ritorno sul Col de la Croix de Fer per poi scendere a completare il giro in senso antiorario, puntando la risalita dell’altro versante del Col du Lautaret. La discesa in sincronia con quella del sole che stira le ombre e riscalda di giallo le cime è di grande respiro e piacevolezza, suggerendoci – visto l’orario – la sosta per la cena a La Salle, antico e pittoresco borgo ricco di ristorantini uno più grazioso dell’altro, dove dare l’assalto alla prima tipica fondue. Come primo assaggio, sia paesaggistico che culinario di questo spicchio di Alpi Francesi è una vera sorpresa.