La mattina del sabato è meno presto del previsto, anche se era prevedibile che la serata con Jeio e Giorgio avrebbe esondato verso la nottata, ma nulla è perduto. Ho un sacco di strada da fare per essere la sera a Bobbio ma non sarà un problema, dopotutto ho un Centauro. Il panorama dal sesto piano dell’Hotel verso nord è riscaldato dal sole senza che questi abbia del tutto il monopolio, rendendo il cielo fresco e assai gradevole.
Ho in mente di tornare a Maniago per completare i saluti ai parenti senza passare dalla via più rapida. Controllo il percorso su Maps avvertendo la mancanza di una cartina stampata.
Adoro le cartine geografiche e fisiche. Non solo per il piacere e la curiosità di scrutarne i dettagli ma anche perché alcune graficamente sono delle vere opere d’arte e nella mia casa ideale molte di queste sarebbero appese alle pareti. Non amo lo stile di Maps e in generale delle mappe online. Sono abituato allo stile delle cartine stampate, dove la topografia e il sistema grafico ha un senso preciso: la gerarchia delle città e dei paesi, quella delle strade, che ti fanno sempre capire al volo le loro importanze e dimensioni, si è un po’ perso nel verde piattume digitale, con forse l’unica eccezione di Viamichelin, che quantomeno in buona parte delle viste mantiene quell’ordine visivo e pratico. Sarà che da scout mi piaceva molto la topografia. Maneggevamo cartine dell’Istituto Geografico Militare oltre alle varie Touring Club, De Agostini eccetera e ricordo a un campo estivo di aver ricostruito buona parte del paese di Lizzola, in alta val Seriana, come compito di topografia in un Hike.
Pensandoci ora mi sembra uno dei puntini che a distanza di molti anni ho collegato con gli altri.
Avvolto dal fresco emanato dalla vegetazione salgo verso nord, con l’idea di costeggiare le montagne in orizzontale, soluzione più verde e curvosa della pur affascinante piana friulana. Eppoi non vedo l’ora di rivedere il Tagliamento e il suo grande alveo. Mi soffermo un po’ ad ammirarlo dal ponte della ferrovia gemello a quello stradale. Non entro nel merito della sua storia politica e bellica, mi basta gustarmi la peculiarità così diversa dal fiume di casa, compresi gli ancor rari pigri bagnanti e non mi sarebbe affatto dispiaciuto un bel tuffo.
Come attraverso uno scambio ferroviario mi allaccio alla strada secondaria che da Forgaria prosegue lambendo il crinale delle prime nere montagne verso Vito d’Asio, strada che dapprima segue il singolo binario della ferrovia non elettrificata giocandoci a destra e a sinistra, offrendo ai lati buona parte della gamma dei verdi, in una ancora pigra mattina con le ombre degli alberi come dita insinuanti l’umidità dell’alba prima che evapori tutta sotto la potenza del sole. Strada che conduce dolcemente tra strade bianche esplorate tante volte da bambino in bicicletta e depositi più o meno abbandonati di macchinari metallici.
È il fascino delle strade secondarie,
che spesso entrano nei paesi dalla porta di servizio e che offrono evasione dalla ressa e dall’ansia, che ti svelano quello che le più blasonate nazionali omettono frettolosamente.
Dopo qualche piacevole tentennamento improvvisamente il percorso vira in una salita repentina su Clauzetto, il balcone del Friuli, come sottolinea il cartello d’ingresso. È un panorama sulla piana sottostante con tanto di panchina per la sosta. Verrebbe naturale proseguire per Tramonti ma stavolta ridiscendo subito per l’ennesima strada secondaria che si getta a capofitto in una miriade di curve a seguire il rio Molino, sempre seguendo la loro logica, bussando all’ingresso di Travesio e lambendo timide case fuori porta, per poi infine dare abbondante gas nella piana, trafiggendo la Sequals di Primo Carnera e fermandomi d’abbrivio a ridosso della magnifica ampia e bianca piazza principale di Maniago, ospite da Fermo, Norma e Moira.
Fermo ha sposato l’altra sorella di mia madre e anche loro mi hanno ospitato spesso da bimbo nella loro casa originaria di Faidona, a ridosso del magnifico lago di Redona, altro luogo che mi immaginavo come Canada. Norma aveva un piccolo negozio di alimentari, Fermo guidava una fiammante Alfa Romeo Giulia e aveva le basette lunghe. Ho giocato spesso con Andrea e Mauro, i loro figli quasi miei coetanei, contraccambiando l’ospitalità accogliendoli al mare a Bibione, poi a distanza di diversi anni è arrivata Moira, che ha il magico dono della sintesi della bellezza dei due cugini.
La sosta da loro non può durare troppo a lungo. Anche perché ci sono anche gli imbucati. Quelli che ti vedono a spasso su Facebook e si infilano chiedendoti di passare da loro, come se non avessi abbastanza tappe. In più – tanto per cambiare – alla partenza da Maniago il cielo si rabbuia e man mano che mi avvicino all’ingresso autostradale spartiacque di Porcia, si organizza in una girandola di centri indipendenti di lampi, tuoni e Pantone Black, in modo da impedirti alternative di percorso. Rassegnato indosso l’antipioggia mentre punto sull’abitazione di Vittorio, già in terra veneta. In realtà, naturalmente, è un piacere reincontrarlo, a non molta distanza dalla splendida giornata passata ad Albino con Pietro Manganoni e Claudio Torri dove ho avuto modo di lumarmi ben bene sia la Tropicana di Claudio sia la replica della Baja di Vittorio, ma sto divagando e di questo ne parleremo in seguito. Tornerò con più calma anche in questa porzione di Veneto che attraverso sempre di fretta verso l’infinito Friuli e oltre e a cui non dedico mai il tempo necessario.
Riprendo la cavalcata autostradale nel medesimo incerto panorama precedente, dapprima sperando in una deriva a sinistra dell’autostrada ad evitare l’ennesimo feroce acquazzone ma è una speranza vana. Fattomisi con l’esperienza furbo, indosso con lauto anticipo l’antipioggia e quando il cielo si incazza seriamente sugli incauti passanti sono bell’e che pronto, mentre curiosamente noto tra le tante moto ferme sotto ai cavalcavia anche un paio di GS e non capisco come mai.
Poco prima di Venezia torna l’asciutto e il cielo resta movimentato e imprevedibile, come raramente accade in pianura, illuminando l’intenso verde sottostante delle colline tra Padova e Vicenza con continui giochi di fasci luminosi. È uno spettacolo magnifico che posso godermi appieno grazie al pressoché inesistente traffico, tutto astioso nell’altra direzione, consentendomi anche una rapida e costante velocità media. Ero pronto alla (para)noia della pianura sempre uguale e invece almeno fino a Desenzano è una sorpresa.
È ora di svoltare a sinistra verso sud e in un lampo buco la bassa cremonese e sono a superare gli ultimi semafori dell’inizio della val Trebbia. La luce si prepara per tempo a indorare le colline al mio arrivo e la salita finale fino a Costa Filietto, in quel toboga stretto e saltellante che sembra non finire mai è l’assolo finale di una giornata multicolore dove tutto si è incastrato al meglio.
E ora si apre ancora un nuovo sipario.
Da quando ho lasciato la presidenza di Anima Guzzista ho potuto dedicarmi alla ricerca delle amicizie perdute, per dirla alla Proust. Ho alcuni piccoli punti di riferimento dove mi trovo a mio agio senza impalcature o ruoli definiti. Come i novaresi, o alcuni marchigiani, oppure questi piacentini del Gari&Carver. Al mio arrivo li trovo già chiassosi a godersi il clima del Costa Filietto, un albergo ristorante dalla posizione spettacolare, e – particolare non indifferente – dall’ottima cucina, sopra la media. Rompo subito la tranquillità con i decibel del mio Centauro e da subito si comincia a cialtronare sulla sua strabordante presenza che non passa certo inosservata e crea sempre pericolosi assembramenti.
Quest’anno il Gari&Carver – un appuntamento fisso del mese di luglio a ricordo di un paio di amici scomparsi – è inevitabilmente in formato confidenziale, onde evitare problemi con la situazione contingente. Cosa che naturalmente non impedisce alla sua naturale piacevolezza di spandersi per la val Trebbia e valli collaterali, esplorate ormai in lungo e in largo senza mai venire a noia. Nicola, il deus-ex-machina del gruppo, ogni tanto se la mena all’idea di fare ripassi di percorsi già studiati ma non ha alcuna importanza, e non solo perché comunque sia sono sempre luoghi naturali, affascinanti e assai curvosi.
Gira e rigira, quando le ginocchia sfiorano i bordi infilandosi sotto al tavolo tutto si chiude nei modi e nei momenti migliori e ti dedichi a ciò che offre la bella compagnia. L’ironia leggera che alla fine emerge sempre di Nicola; la leggerezza di Antonio Bicilinder che peraltro conduce la sua California a velocità siderali come niente fosse, compreso di Paola che con altrettanta nonchalance potrebbe limarsi le unghie in piega; il mito d’altri tempi del Valigiaio, il D’Annunzio della Moto Guzzi anche quando cavalca una vistosa Moto Morini e compagno di scorribande al Nurburgring; Antonio e Pina sempre sorridenti e deliziosi; i coinquilini Maristelli, che come ormai narrato anche nelle enciclopedie più scalcinate di Caracas sono diventati guzzisti a furia di fargli sniffare i miei scarichi sotto al loro balcone e ormai chi lo tiene più Diego con la sua Audace; FlavioT3 finalmente in sella effettivamente al T3 come da manuale con il quale tento invano di reggere l’ironia pungente; Lella con il fido Giulio, una delle rare persone che mi legge sempre, Furio Poppi e gli altri e c’è anche qualche grossa assenza e alla fine insomma è un po’ un peccato vederci così poche volte l’anno, chissà se si riuscirà a replicare più spesso questo piacere semplice e naturale.
Nicola ha scovato per il pranzo della domenica di nuovo un altro punto di ristoro notevole sotto ogni punto di vista, mantenendo sempre elevata la qualità, in linea con quella della compagnia e delle strade, nonostante l’evidente degrado di queste ultime, tra cedimenti, sconnessioni e brecciolini che mi accompagnano sulla via del ritorno, al termine di quattro giorni che sembrano quattro punti cardinali.
Un bel modo di complicarsi la vita.
Alberto Sala
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