Oggi è il gran giorno, si parte per la Persia e non siamo per niente rilassati. Stiamo per entrare in Iran, “stato canaglia”, nemico giurato dell’occidente e degli infedeli. E ci andiamo da soli, su un residuo di moto, senza un albergo prenotato né un contatto ufficiale sul posto. Un vero salto nel buio.
Ci conforta quanto letto sulla guida riguardo alla grande ospitalità del popolo iraniano, ma come sarà l’accoglienza dal versante poliziesco?
Quando Mulo Pazzo muove i primi metri carica di borse e passeggeri vestiti da astronauti, qualcuno da un balcone dell’albergo ci saluta agitando in aria pollici alla Fonzie. Scene che fan sempre un gran piacere.
Direzione nord, lontano dalle zone di guerra. Attraverseremo la frontiera al valico di Bazargan, sono circa 200 km. I primi 50 sono insignificanti, poi sulla nostra sinistra ricompare il lago di Van, il lago più blu che i miei occhi daltonici abbiano mai visto… magari però è solo per il contrasto con l’ambiente giallo-secco tutto intorno. Comunque il colore è talmente intenso che te lo fa percepire come una presenza densa, quasi viva.
Siamo in vicinanza della città di Ercis che Marco Polo, descrivendo la Grande Erminia (Armenia), chiama Arzici:
“Ell’è molto grande provincia: quivi dimorano la state[1] tutto il bestiame de’ Tartari del Levante[2], per lo buono pasco[3] che v’è; di verno non vi stanno per lo grande freddo, ché non camperebbono le loro bestie”
Parlando del lago di Van invece dice:
“…no mena niuno pesce di niuno tempo, se no di quaresima; e comincia lo primo die di quaresima e dura infino a sabato santo, e è viene in grande abondanza. Dal dì inanzi uno no vi si ne truova, per maraviglia, infino a l’altra quaresima.”
Compare il primo cartello con la scritta “Iran”, è una scossa elettrica.
La stradona è libera, Mulo Pazzo in forma smagliante, la temperatura perfetta.
Quattro corsie tutte per noi (due e due senza guardrail in mezzo), sì, potremmo anche usare quelle del verso opposto che tanto non c’è nessuno. Percorriamo ampi fondovalle con campi rilassanti tra montagnette morbide. Il giallo e il bruno dominano, ma ci sono anche coltivazioni verdi e qualche filare di pioppi. Presenza umana poco percepibile, penso che tornati a Milano venderò le altre moto, avendo guidato in questi posti, le strade italiche non posson più dare alcun piacere.
Altra pausa a un’area di servizio, i nostri panini al formaggio di Van quello “aromatico” (puzzolente di ovile) straripano di gusto. Il gestore, che sta andando a tavola con la famiglia, manda fuori un ragazzo a offrirci un piatto di carne poco invitante, rifiutiamo, ma subito mi pento, forse non siamo stati molto gentili.
Nel primo pomeriggio l’ambiente diventa particolare, comincio a vedere rocce strane tutt’intorno. Sembrano colate laviche, sono colate laviche, sempre più possenti. Dietro i rilievi irregolari individuo il responsabile, un mega-vulcano che ha inondato di lava nera tutta la zona.
Esaltante, la strada serpeggia tra le onde vetrificate salendo progressivamente di quota. Diventa via-via più tortuosa e a tratti ripida. Rocce bruno-scure che ricoprono tutto, rada erba bionda, un cielo troppo blu e il vulcano dormiente alto lì vicino, il nervo ottico è in brodo di giuggiole.
E la nobile aquila che ci porta in dorso volteggia superba nel suo ambiente ideale.
Alcune casette colorate, i bambini del villaggio giocano a pallone in un campetto strappato a un terreno primordiale. Ribadisco, per me la Turchia è il paradiso del mototurista.
Raffiche di foto e di filmini con la telecamera da casco, il tappo per qualche motivo è andato perso, stavolta quindi non corro il pericolo di fare foto nere. Sono i 30 km più belli della mia vita da mototurista stradale.

La striscia d’asfalto sale sul fianco del vulcano, è un po’ squinternata, con dossi e deformità, curve e salite. Tutto in un magnifico delirio cromatico nella luce calda del primo pomeriggio. Zero auto, rari camion arrancano. Mulo Pazzo è sul suo terreno preferito, nonostante il carico, si lascia guidare divinamente. Non vorrei essere su nessun’altra moto al mondo. Percepisco la strada e le sue forme. Più potenza farebbe solo diminuire il piacere della guida. Son convinto, le emozioni che può dare una moto in viaggio sono inversamente proporzionali alle dimensioni del motore. La moto grossa sarà sì comoda, ma la comodità va a discapito delle sensazioni. I 44 cavalli di Mulo Pazzo invece fanno un lavoro egregio e mi regalano gran divertimento.
Attraverso le vibrazioni sento la forza della bestia e con la meccanica è una relazione fisica a ogni cambiata. Altro che le moto sciacquette con cui comunque cambi va bene, qui ci vuole coordinazione tra gas e frizione, pedalino e giri del motore, devi entrarci in sintonia con la tua compagna, sentirla con il tatto e con l’udito. E quando trovi l’empatia con questa rude macchina, il premio è la soddisfazione di percepire gli ingranaggi innestarsi dolcemente, di sentirvi compagni di viaggio a contatto di pelle, di esservi trasformati in un unico essere con i tuoi ricettori nervosi che arrivano fin sull’asfalto e dentro al motore, un centauro di carne e metallo, neuroni e bielle. Peccato non la facciano più, potreste pensarci alla Guzzi, è vero che le cose veramente belle di norma son poco apprezzate, però per pochi bongustai… magari con un sedile un po’ più comodo per la passeggera.
I bei momenti sono sempre troppo corti, siamo già al valico. Comincia una tortuosa discesa verso la pianura.
Dopo qualche curva, una montagna dalla cima innevata si staglia dall’orizzonte, solitaria nella piana.
È lontana, molto alta…
“Lisa, l’Ararat!”
“Uaoh!”
Anche se oggi è in Turchia, è da sempre il monte sacro per gli armeni. Lo avevamo già ammirato da Jerevan, dove la sua presenza regala un bellissimo sfondo alla città.
Pare che il nome in lingua armena significhi “Creazione di Dio” o “Luogo creato da Dio”, in turco invece significa “Montagna del dolore”, chissà perché.
Dunque un vulcano alto 5165 metri, più dell’Etna e del Monte Bianco (che, a dispetto dell’edonismo franco-italico, non è il monte più alto d’Europa. La palma spetta al monte Elbrus, nel Caucaso, 5642 m). L’ultima eruzione dell’Ararat pare avvenuta nel 1840, quindi potenzialmente ancora attivo. Ci sarebbe anche una leggenda:
“…Ancor vi dico che in questa grande Arminia è l’arca di Noè in su una grande montagna, ne il confine di mezzodie in verso il levante…”.
Oh Marco, non ti pare di esagerar con ‘ste cazzate?
La vista è spettacolare, i tornanti scendono verso la pianura in un mondo stregato di rocce lunari con la “Creazione di Dio” che domina lo scenario.
L’asfalto intanto si smolla, devo star attento a dove metto le ruote.
Giù nella piana, alla confluenza con la statale che porta al confine, c’è un bar-ristorante, ottima location per una sosta. Mulo Pazzo è parcheggiata nello spiazzo in bella vista di fronte alla montagna sacra, gestore e famiglia ci accolgono caldamente, il tè di rito è già in arrivo.

Prendo la telecamera da casco per una ripresa. Coltellata nella pancia: è spenta.
Lungo tutto il percorso a fianco del vulcano, nonostante premessi come un ossesso sui pulsanti del telecomando per non perdere alcuno scorcio, (con anche qualche rischio per la guida) non ho ripreso niente!
Voglia di scagliare la telecamera nella ghiaia.
Ma ormai ho imparato che l’impulso iniziale è immancabilmente sbagliato. Nel caso contingente, la seconda reazione è quella di mettersi a piangere. Valuto inadeguata anche questa.
Mi rilasso e cerco di godere delle note positive, c’è questa famiglia allegra per il nostro arrivo, coi loro telefoni vogliono fare una foto con noi. E poi ci son Lisa, Mulo Pazzo e l’Ararat.

Tratto da “Verso Est, sulle ali dell’aquila”
[1]D’estate
[2]I mongoli della dinastia Ilxan di Persia.
[3]Pascolo