Sabato. Giorno 7. Terremoto
Oggi è l’ultimo giorno di Abruzzo, che lasceremo non senza una breve incursione nel Lazio di Amatrice per poi riservare la definitiva uscita dalla regione degli altopiani passando dal retro del Gran Sasso, penetrando l’ultima regione da esplorare, anche se in forma molto minore: le Marche.
Nella discesa da Montereale la nostra California ci conduce con il consueto e mai scontato buongiorno, con le sane e buone vibrazioni del bicilindrico che gira a meraviglia, con “quel non so che” in grado di metterti di buonumore e di non annoiarti mai, fino alle porte della prima tappa, che per me non è inedita. Tant’è che mi aspetto di riconoscerla, anche se sono passati diversi anni, ma mi ritrovo a ridosso dell’ingresso un paio di tornanti che non ricordo, mentre non vedo nulla di famigliare. Una breve salita e… e…
Il nulla.
La strada si fa dritta e piana, chiusa dentro i New Jersey e le transenne arancioni che in parte coprono alla vista la base del nulla, e con gli occhi cerchi di scavalcarli per capire perché non si vede nulla, perché vedi le montagne ma dov’è il paese? Poi capisci quando vedi quel che resta di un campanile. Di slancio superiamo la distesa di pietre fino a una specie di piccolo centro commerciale dall’aspetto provvisorio, e torniamo indietro con un groppo in gola. Amatrice non esiste più. L’ottimismo della ricostruzione del capoluogo abruzzese viene drasticamente spento da una desolazione che solo dal vivo è reale e ti smuove.
Ci riprendiamo a fatica solo alla vista del lago di Campotosto, e la strada assume le tipiche fattezze golose di quelle che paiono fatte apposta per strisciare le orecchie per terra. Peccato solo per l’asfalto, anche qui non certo in buone condizioni, anche se un paio di smanettoni non si fanno intimorire, neppure nell’invadere la corsia altrui mentre sopraggiungiamo. Ci fermiamo nei pressi di Campotosto per un caffè gustato in un bar container vista ruderi di un altro paese che fu, mentre cerchiamo di dare un termine, se non proprio un senso, al giaciglio di oggi. Scopriremo poi che la camera al b&b di Santa Vittoria in Matenano ce la siamo aggiudicata letteralmente per pochi secondi.
Trovato l’alloggio mettiamo a fuoco l’intero itinerario odierno cercando una via sconosciuta per superare Ascoli Piceno e puntare in un angolo di Marche totalmente inedito per noi.
Terminato il giro del lago (e compiuto in pratica un autentico cerchio tra ieri e oggi) riprendiamo la Statale 80 che trapassa il parco nazionale del Gran Sasso a nord della sua cima illustre, dapprima con un bel misto veloce e gran asfalto senza più se e ma, per lievemente rallentare l’andatura in discesa dentro la gola del Vomano, sempre con asfalto perfetto. A Montorio al Vomano, già da qualche chilometro ufficialmente marchigiani, lasciamo la statale svoltando a sinistra, nel parco dei monti della Laga da dove salendo godiamo alla grande del panorama del lato nord del Gran Sasso. Possiamo dire di averlo visto un po’ per tutti i cantoni.
La strada si fa impegnativa e la qualità del bitume steso torna a lasciare parecchio a desiderare ma non importa, volevamo qualcosa di più selvaggio e siamo accontentati. Dopo Rocca Santa Maria Pietralta la strada diventa pessima ma a Valle Castellana nelle vicinanze del laghetto di Talvacchia abbiamo la fortuna di trovare il posto giusto per pranzare, un ristorante autenticamente locale quanto la sua cucina. Stiamo per finire la deviazione ‘selvaggia’ e rientrare su una strada più solida, più consueta, diciamo pure un po’ democristiana se vogliamo, ma qui per capire che succede devo prenderla un po’ alla larga. La sera prima avevo finalmente capito come impostare un percorso complesso (con diverse tappe intermedie) direttamente dal navigatore (e non preimpostato in precedenza via web) ed è questo che stiamo seguendo. Sbuchiamo quindi sulla SS81 che ci distrae con il suo asfalto semplicemente perfetto, le curve sopraelevate, la percorrenza prima media poi veloce poi di nuovo tortuosa, e poi sono le due del pomeriggio, non c’è nessuno e mi chiedo dove sono tutti gli smanettoni: questa si che è una pista, e mentre mi masturbo di curve noto sullo sfondo di nuovo la sagoma del Gran Sasso, ma immagino sia per via del giro poco lineare che stiamo facendo e sotto di nuovo con le curve, ma i cartelli stradali indicano Teramo; contemporaneamente il Gran Sasso diventa più imponente
e Rosella mi dice “ma non abbiamo già superato Teramo?” E poco dopo “ma qui non siamo già passati?!?”
In sostanza, con grande probabilità ho sbagliato l’ordine di inserimento di un paio di tappe intermedie e stiamo tornando indietro! Invertiamo la rotta, e pensa un po’ che sfiga, ci tocca rifare la SS81! In realtà è tutto molto bello ma fa caldo e affiora un po’ di stanchezza, dopotutto sono otto giorni consecutivi che siamo in moto tutto il giorno.
Stiamo salendo a destra dei Monti Sibillini e ci addentriamo in un territorio bellissimo, che ci stupisce con alte colline che a tratti scoprono le nude fattezze a ricordare le crete senesi, con i paesi collocati ben in cima, come se fossero disposti a comando da un architetto supremo. Ne oltrepassi una e ti ritrovi di fronte l’alternanza di appezzamenti arati di marrone come se il manto di fieno puntinato dai covoni fosse stato ritagliato da una gigantesca forbice. I colori si stemperano, abbandonando la saturazione e brillantezza dei verdi tornando indietro alla nuda terra, mentre le ombre si fanno lunghe e nere dal lento calare del sole.
Stanchi morti raggiungiamo il bellissimo bed&breakfast, una abitazione magnificamente ristrutturata e saggiamente resa antisismica (siamo sempre in zona terremotata, non molto distanti da Norcia). Il tempo di riprenderci per poi arrampicarci per stradine buie e sghembe in cima alla collina, dove risiede il nucleo abitativo, rivestito del caldo colore dei mattoni, pronti ad accomodarci per la cena al ristorante preventivamente prenotato, sotto saggio consiglio della titolare del b&b.
E qui la selezione musicale di sottofondo mi porta a un semiserio flashback di molti anni fa, a Limone del Garda, luogo assai grazioso tipicamente frequentato da coppie di turisti tedeschi benestanti e un po’ attempati, dai bianchi capelli più che biondi, e ricordo in un ristorante dall’ampia terrazza esterna vista lago (oggi chiuso per fallimento, ma come si può fallire in un luogo del genere…) la diffusione di quelle canzoni ad hoc per loro, così amabili, tra Limahl, Elton John, Roxette, Foreigner, Moonlight Shadow, Nikka Costa, Dancing Queen…
è la Music for Tardons,
canzoni ristorantesche un po’ politically correct, senza troppi slanci o fracassi, in grado di accomodare un certo pubblico accompagnandolo paraculescamente alla piacevolezza della cena. Mi immaginavo che esistesse davvero un cd compilation che girasse tra ristoranti, rispolverato all’uopo stasera. In effetti, un tavolo di tedeschi c’è anche qui, stasera.
Domenica e lunedì, giorni 8 e 9 – Mare.
Le nostre chiappe invocano a viva voce una pausa. Prima la sussurravano, senza insistere visti i luoghi e le genti. Ora urlano e vorrei evitare che passassero alle pernacchie. Oggi è domenica e strategicamente, presentandoci la mattina presto a bussare al campeggio, la dea fortuna dovrebbe consentirci di trovare posto anche in un luogo dalla limitata ricettività come il Conero. Difatti la strategia funziona: anche senza esagerare con la levataccia troviamo accoglienza in un campeggio equidistante tra Numana e Sirolo, con una piazzola perfettamente ombreggiata, adeguata al prossimo obiettivo: il relax.
È la prima volta per noi in questa solitaria montagna che intervalla le centinaia di chilometri di spiaggia del litorale adriatico italiano ed apprezziamo lo stile di questo luogo riservato rispetto alle chiassose distese adriatiche di ombrelloni. Le spiagge sono poche, piccole, non certo comode da raggiungere per quanto belle, con l’acqua dal turchese più invitante dei paraggi e i due borghi principali – Sirolo in particolare, anche a causa della sua collocazione – offrono un’atmosfera speciale, un misto tra il sapore storico dei paesi marchigiani e l’impronta della salsedine sulle pelli abbronzate, senza troppa ressa né ansia.
Martedì. Giorno 10. Ultima incursione.
Dopo averla coccolata e riportata al consueto splendore di cromature e vernici, riprendiamo la nostra California puntando il timone verso Macerata, dove Roberto Freddi, pilota e meccanico d’arte erede di quel Primo di nome e di concessionaria Moto Guzzi (la prima della storia) provvederà a sostituire il paraolio anteriore che da tempo mi macchia in maniera seccante la moquette rossa in box.
Roberto è un amico autentico, è colui che ha dato il cuore meccanico di Brigida, la moto da corsa che tante gioie e soddisfazioni ha dato al sottoscritto e al mio socio Mattia; è persona dotata di quella generosità a volte financo eccessiva e che anche per questo è ancor più adorabile; è quel gran manico che ogni volta che ti lamenti di qualcosa in pista ti ricorda che sei una pippa stracciandoti svariati secondi dal cronometro (ecco, qui lo apprezzi un po’ meno), del tipo che prima di entrare magari ti dice
“ah qui le condizioni non sono buone, c’è da stare attenti, eh” e poi straccia un tempo imbarazzante e pensi di tornartene a casa.
È un riferimento per tanti, che affidano a lui le loro Moto Guzzi sentendosi in una botte di ferro.
La strada scelta per Macerata abbandona i galloni da statale tirando dritto sulle colline come fossero montagne russe, trapassando vigne come colture. Colline che emanano quella bellezza fatta di commistione tra la natura e l’intervento dell’uomo, che qui è intenso, molto più che in Molise.
Completata l’operazione nella storica officina e dopo un pranzo sostanzioso, Roberto ci consiglia per il ruttino un giretto al laghetto di Fiastra e ancor più su per i monti Sibillini fino in cima, dove le rocce sono avvolte di muschio vellutato con le piegoline. L’aria è piacevolmente fresca, la strada in salita ha un asfalto nuovo di zecca e la discesa per Sarnano esagera, con tornantoni sopraelevati come fossero una pista Super Wheels (ricordate le macchinine anni ’70 da lanciare sulla pista in plastica arancione flessibile?) Ma mica finisce qui: a un certo punto un pif paf spettacolare da paura mi tenta drammaticamente… si direbbe una strada per il paradiso: al ritorno in officina Roberto mi dice che la usano per gare in salita automobilistiche. Marche, di nuovo, sorprendenti.
Mercoledì. Giorno 11. Il ritorno.
Il rientro anticipato di un giorno riduce le risorse dedicate alle Marche e alle visite ma riusciamo, in un’ultima quadratura del cerchio abbandonando (con piacere) il ritorno per l’adriatica a Fano, a tagliare a ovest per Cagli, paese natale del Michelangelo dei guzzisti: Ettore Gambioli. E anche qui andrebbe aperta una bella parentesi, perché Ettore è un’altra bella persona, con la quale c’è un legame speciale, rafforzato dalla condivisione di quel fortunato progetto che è il monumento a Carlo Guzzi. Ogni tanto mi chiama al telefono e sembra un ragazzino che ha voglia di condividere energia, pareri, idee o anche solo sapere che combino. Lontani geograficamente, ma solo per quello.
Il tempo di un pranzo insieme e poi l’ultimo tratto di piacevolezza motociclistica, lo scollinamento tra Marche e Umbria a raggiungere la famigerata E45, che per i locali sarà sempre un po’ sconnessa, ma per me assai più panoramica e meno noiosa dell’adriatica, tagliando un po’ del piattume autostradale che so bene attendermi al varco una volta ri-confluito sulla A14 e – ancor peggio – su quel buco spazio-temporale della A1 dai bastioni di Bologna in avanti, a riavvolgere il nastro.
Giungiamo finalmente a casa dopo tre ore di rettilineo (che diventano sette ore e mezzo di percezione reale) cotti e sfiniti, ma con un bagaglio memorabile, intriso di un’Italia dalle mille sorprese e di una formula di viaggio ai limiti della perfezione.
Alberto Sala
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