Giovedì. Giorno 5. Addio Molise.
È giunto il momento di lasciare lo splendido isolamento del campeggio di Vasto Girardi e anche l’altrettanto splendido e sorprendente Molise: è ora di cominciare a risalire lo stivale, passando per l’Abruzzo.
Da Capracotta scendiamo verso il fondovalle tra le felci per puntare alla strada SR83 Marsicana che attraversa il parco Nazionale d’Abruzzo cominciando da Alfedena e su su per il colle della croce, fino a Barrea con l’omonimo verde lago assai gettonato dalla gente e l’impatto per noi che eravamo abituati a viaggiare soli, a fare soste per le fotografie avendo a disposizione tutta la strada senza pericoli, ecco l’impatto non è dei migliori. Poi a Villetta Barrea c’è la svolta a destra per la SR 479 che da subito ci avvolge con l’intenso profumo di pini che qui hanno il sopravvento, colorando di arancione i margini dell’asfalto con i loro generoso deposito di aghi.
C’è quella temperatura secca e calda, tipicamente estiva e tipicamente piacevole e il sole ha acceso gli abbaglianti.
Salendo, sulla destra godiamo dei ripidi declivi che si arrotondano in cima allo scoperto della vegetazione, appena sotto al monte Greco e su fino al bellissimo passo Godi, valicato il quale scendiamo in un versante dove sono spariti i sempreverdi e compaiono strade bianche e fattorie fino a Scanno, paese dal notevole centro storico in pietra, dove facciamo pausa e sbattiamo contro il tutto esaurito effetto del turismo. Cerchiamo un posto per dormire la sera a L’Aquila ma niente, non c’è un letto libero nel raggio di una cinquantina di chilometri (se non pagandolo dal rene in su). Mi sovviene il perché non faccio ferie ad agosto in Italia da 15 anni… Alla fine troviamo al volo un dignitoso riparo per la prossima notte a Celano, in linea con i nostri itinerari e possiamo riprendere la strada, con il conforto di sapere dove andrà a finire quest’oggi.
Dopo il lago di Scanno proseguiamo su una specie di piccolo altipiano che conferma la piacevole sensazione di essere in vacanza in un luogo bellissimo e sorridente, fino alla stretta gola a dirupo dello Scorpione, istante spettacolare sotto lo sguardo di Castrovalva che conferma l’attitudine dei paesi a piazzarsi in posizioni imperiali, così come la seguente Anversa degli Abruzzi.
Siamo scesi di quota e la piazza da grande città di Sulmona ci accoglie rovente come una padella per una sosta utile sia al sollievo delle chiappe che per dissetarci all’abbeveratoio. Dopo uno scambio di saluti con il Presidente di un MC Harley (che ha però anche un Florida) usciamo dalla cittadina per attraversare il profumo d’aglio del circondario, poi ci godiamo il breve e veloce tratto autostradale fino a Celano, te pareva altro paese che sarebbe da visitare in lungo e in largo ma la stanchezza ci suggerisce di accontentarci di vederlo dall’alto del B&B già ben piazzato un paio di chilometri oltre, nella direzione di domattina verso L’Aquila. In questa zona è assai facile trovare ristori piazzati in posizioni strategiche e panoramiche; un posto di merda in sostanza te lo devi un po’ cercare con il lanternino.
Giorno 6 – Senza fiato e senza parole.
Siamo da un giorno risaliti in Abruzzo e finora quello che abbiamo visto ci ha saziato ogni papilla gustativa. Oggi ci aspetta sicuramente la visita di L’Aquila e Campo Imperatore, due punti imprescindibili del nostro errare; il resto dipende da dove troveremo il prossimo giaciglio notturno. In fondo non mi dispiace di questa precarietà quotidiana, so che potrà riservare sorprese.
Ci sarebbe piaciuto concludere il giro di oggi ad Amatrice,
ma anche solo aprendo la pagina di Google per cercare un posto si avverte come una risata, che inizialmente percepisco beffarda per il tutto esaurito ma poi scoprirò essere ben più amara.
A gran fatica troviamo un posto a Montereale, e la cosa più allucinante è che in tutta la zona di L’Aquila, Campo Imperatore, Gran Sasso e oltre non c’è neppure un campeggio. Teoricamente ci sarebbero un paio di campeggi nell’entroterra abruzzese, ma nessuno dei due risponde alle ripetute sollecitazioni telefoniche. Il sospetto è che siano due delle tante vittime della crisi generata dal malefico lockdown.
La salita a Ovindoli ė limpida e montana. Dopo il bellissimo paese, che nonostante l’assalto del turismo mantiene la sua fisionomia originale, sbuchiamo su un altopiano dorato dal grano, con tanto di ranch e cavalli, antipasto dei grandi spazi che sembrano un po’ la prerogativa di questa regione. Proseguendo sulla destra si nota una collinetta rocciosa e gli abitanti di Rovere scelgono proprio quella e non lo spazio pianeggiante per inerpicarvi le loro case. È così un po’ per tutti i paesi, retaggio di un passato nel quale bisognava sempre difendersi da qualcuno. Oggi il problema non sussiste: la guerra è diventata solo merce da esportazione. A Rocca di Mezzo teniamo la destra finché al termine dell’altopiano, attraverso una strettoia sbuchiamo improvvisamente nel panorama dell’ampia vallata sottostante, in cima alla quale intuiamo la distensione di L’Aquila.
Dopo aver beccato una libreria munita di carte geografiche ed aver quindi colmato una delle dimenticanze iniziali (la cartina geografica è imprescindibile e le appenderei anche al posto dei quadri ma forse l’ho già detto), vagabondiamo per il centro storico della città la cui bellezza è in fase di ripristino dopo le profonde crepe del terremoto. Ci sono rare zone rosse, la ricostruzione è a buon punto elargendoci tanta bellezza, perdippiù fresca di rinnovo. Manca forse ancora un po’ di tessuto economico che immagino si sarà reinventato in altre zone. Ad ogni modo la città è bella e importante.
Dopo pranzo comincia l’avvicinamento a Campo Imperatore. Filippo Barbacane mi consiglia di salire da Santo Stefano di Sessanio ma prima di svoltare a sinistra dice che è buona cosa passare da Castel del Monte anche solo a buttare uno sguardo sul castello reso famoso da Ladyhawke. Mi fido alla cieca di un autentico satrapo di questi luoghi, oltre che grande creatore di opere d’arte motoguzzistiche. Rischio anche di fidarmi troppo della grande autonomia del nostro California. Sorvolo sull’ultimo distributore poco fuori L’Aquila confidando nel prossimo che però si nasconde al momento di lasciare la SS17 verso la montagna, ma proseguo. Dopo Rocca Calascio i pini si fanno più piccoli e raggruppati come pinguini e sembrano arrancare in salita sui declivi ancor non troppo ripidi dei monti della Laga. L’ascensione prosegue a Castel di Monte ma per vedere il castello va abbandonata la moto e bisogna infilarsi in un torpedone. Un rapido calcolo di tempo e probabilità (oltre che uno sguardo sul navigatore) mi consigliano di tornare in basso a cercare il distributore, anche per evitare gli strali di Rosella che mi farebbe fare benzina ogni venti chilometri. Tornato a ritroso fino alla statale, scovo il distributore solo due chilometri oltre la svolta (bastardo) ma non tutti i mali vengono per nuocere. Per tornare a Castel del Monte la prendo larga passando per Capestrano, scoprendo un altro bel passaggio e bell’insieme di curve fatte apposta per la nostra motocicletta e in più, salendo da questo versante riesco a scorgere l’inconfondibile sagoma del castello fatato.
Tutti questi preamboli potrebbero, all’incauto lettore della strada, apparire come inutilmente tergiversanti, ma il saggio esperto di campi imperatori ha già capito tutto. La salita agli dei avviene così nell’orario migliore, in quel tardo pomeriggio che esalta i rilievi e le fattezze, che allunga le ombre rendendole mitiche, che predispone dopo le fatiche alla ricompensa e – soprattutto – fa scavare dai maroni un po’ di turisti da un luogo che più lo si vive in solitaria più lo si assorbe in ogni poro.
Il passaggio dalla visuale in salita all’apertura del sipario naturale è tale da togliere il fiato e lasciare senza parole. I confini del creato si allargano a tal punto da consentirti chilometri e chilometri di visuale sullo scenario i cui confini del finito approdano ai piedi del guardiano, quel Gran Sasso di nome e di fatto che sembra vigilare come un vecchio saggio sulle transumanze di cavalli e mandrie seguite dalle nuvolette di polvere in controluce, mentre per quanto il naturale rallentare dell’andatura possa ampliarne l’effetto, hai la sensazione di scorrere uno spazio infinito, che risorge ad ogni avallamento con la stessa gioia dell’extended play nelle sale giochi da bambino, a tal punto da pensare che non ci sia mai fine a questa bellezza selvaggia e intima, per quanto questo termine possa apparire in contraddizione a questo vasto scoperto.
Il bisogno di fermarsi è continuo.
Scambio due parole con un ragazzo pastore che fa passare i cavalli oltre la strada mentre verso est le sagome delle mucche sembrano bisonti e penso che dovremmo tornarci con i prostatini a passarci una notte accampati, con un bel bivacco con il fuoco acceso (se si potrà).
Nonostante la sazietà di meraviglie, ci godiamo a dovere la discesa a Fonte Cerreto come anche la lenta risalita in costa, lungo la strada che accelera veloce come a recuperare il tempo (non perduto) fino a Capannelle, dove il panorama a sinistra è oro raramente interrotto da pini sparsi come granella, poi ci saluta il bivio indicandoci a sinistra la strada verso il giaciglio odierno, dotata di asfalto perfetto che ci sarebbe da spiegazzare alla grande. Montereale appare come un paese di altri tempi e il b&b è molto carino e il giovane titolare si dà da fare anche nella pro-loco locale suggerendoci di partecipare all’evento organizzato per la sera. La pigra presenza apparente comincia a tramutarsi soprattutto all’ora di cena e mentre ci gustiamo gli arrosticini serviti dentro caraffe siamo coinvolti dalla allegra musica di un trio che ci sa davvero fare.
Alberto Sala
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